Chagall e la MasterCard

Parlare con un uomo di Chagall non ha prezzo. Per tutto il resto c’è MasterCard.

Chagall

“Ein Li Milin” – Enrico Pieranunzi

Ho bisogno della carica

Oggi sarà una giornata particolare, e ci vorrà tutta la carica possibile per arrivare fino alla fine. Nonostante tutto quello che è successo, nonostante ci si parli ormai più poco, mi dispiacerà non averti più a due scrivanie di distanza.
Spero solo di essere la prossima ad andarmene, quel posto sta diventando una terra di fantasmi. I pezzi migliori, sotto tutti i punti di vista, si stanno volatilizzando uno alla volta. Altri due o tre, e non ci sarà più ragione di arrivare sorridente al mattino.
Un buongiorno detto per educazione, e a seguire otto ore con la musica nelle orecchie intervallate solo dalla pausa pranzo, che avrò cura di far durare esattamente quanto dovuto, né di più, né di meno. Avrei dovuto decidermi prima, invece di sperare che le cose potessero prendere una piega migliore, ma è difficile staccarsi dal posto in cui si è stati per tanti anni. Venticinque, più di metà della mia età. Posso dire di esserci cresciuta lì dentro, ma non voglio certo arrivare alla morte cerebrale.
E quindi oggi inizio la giornata con le mie scarpe preferite, e un pezzo che mi dia l’energia necessaria per affrontarla.

“Misirlou” – Dick Dale

The shape of my hearth

Più tempo passa, e più mi rendo conto che il modo migliore per conquistarmi non sono le sdolcinatezze che ho visto in giro nei giorni appena passati, amplificate tra l’altro, dal vivere nella città del Santo.
“Cucciolo mio, mi pensi? Ma quanto mi pensi?” … rabbrividisco al solo pensiero di qualcuno che mi fa domande di questo tipo.
M’è pure successo, qualche tempo fa, e sono fuggita a gambe levate.
La strada per il mio cuore passa inevitabilmente per lo stomaco, per un doppio ordine di motivi.

Primo, perché se un uomo mi emoziona, e mi fa un “certo” effetto, quelle emozioni me le sento tutte nello stomaco, almeno le prime volte. Le classiche farfalle. C’è chi ne parla, e chi come me, se le sente proprio svolazzare lì dentro, a cozzare contro le pareti. Poi col tempo passa, ma se non ci sono, posso anche andare oltre. Fino ad ora, si è dimostrato essere un metro di giudizio infallibile.

Secondo, perché penso che l’approccio che le persone hanno verso il cibo sia lo stesso che hanno verso la vita.
Chi usa il cibo solo per nutrirsi, tende ad avere una vita essenziale, fatta del minimo indispensabile per il sostentamento. Chi bada alla quantità, lo fa a discapito della qualità. Chi invece sa godersi una buona tavola (di qualità, non di quantità), sa godersi anche una buona vita, e i piaceri che offre. Sa scegliere con criterio, assaporando senza fretta e senza trascurare i dettagli.
Meglio quindi presentarsi con un invito a cena piuttosto che con un bigliettino pieno di cuoricini e cuoricioni.

Di conseguenza, credo che il modo migliore di rappresentare il mio cuore sia questo:

P.S.: Casomai aveste ancora qualche dubbio, quella lì è proprio una patata.
Quando se ne consumano dosi consistenti, capita di trovarne di strane forme.

“Shape of My Heart” – Sting

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Infinito

“Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito.”

Alessandro Baricco, “Novecento”

Piano man

“The Köln Concert, Part 1” – Keith Jarrett

Fernweh

Fernweh: «Nostalgia per posti in cui non si è mai stati. Bisogno di allontanarsi, desiderio di sperimentare cose lontane da casa, urgenza di fuggire dalla vita di tutti i giorni attraverso il viaggio»

“The Wanderer” – Shawn James & The Shapeshifters

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Riflessioni

Ogni promessa è debito… Mortellaro, questo è il tuo blur, urbano e notturno.

“CRX” – Casino Royale

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Like a hurricane

“I am just a dreamer, but you are just a dream
You could have been anyone to me”

“Like a hurricane” – Neil Young

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6 gennaio 2014 (If you love somebody set them free)

Titolo analogo al post di qualche giorno fa dell’amico giacani, quando ho letto il suo avevo pensato di cambiarlo, ma la summa è lì e allora tengo il doppione.
Se penso a quel giorno e a tutti quelli passati uno dopo l’altro, le sensazioni sono contrastanti, i pensieri si accavallano in modo sconclusionato, senza un inizio e una fine compiuta. L’analisi logica e la coesione del testo che mi hanno insegnato a scuola sono solo un lontano ricordo. Mi rivolgo a te non perché mi aspetto che tu sia qui a leggere, non credo tu lo abbia mai aperto il mio blog, se non forse agli inizi quando ti ho chiesto un parere sul tema che avevo scelto. Non ti sono mai interessate neanche le mie fotografie, esistevano solo i tuoi sax e la tua musica. È che la terza persona rende i discorsi impersonali e ha un che del pettegolezzo e dello sparlare, e qui invece è tutto molto personale e non c’è niente da nascondere.
Un anno. Così poco rispetto al passato, così tanto per quanto è stato pieno. Tredici anni insieme, dieci sotto lo stesso tetto, polverizzati in pochi minuti e una manciata di lettere. Tredici anni che pesano il doppio per tutto quello che è successo in questo tempo.
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Mentre scrivevo mi è tornato alla mente questa immagine che avevo trovato nel web tanto tempo fa. Quel pomeriggio, dopo che se ne erano andati tutti, quando ho aperto la bocca, le parole sono uscite da sole, come una bottiglia che è rimasta chiusa per tanto tempo, e che improvvisamente si apre da sola. Sono stata io a dire basta. Perché non c’era nient’altro che potessi fare. Perché era ciò che volevi te, ma noi hai avuto il coraggio di dirlo avendo invece fatto del tutto per portare me a decidere. Perché le belle giornate erano diventate l’eccezione rispetto alle brutte. Perché c’eri più solo con il corpo e non con la mente. Perché l’amore a senso unico non funziona. Perché la strada era sbarrata, e invece avevamo bisogno di andare avanti tutti e due, ma ognuno per la sua via.

If you love somebody set them free.

Il più bel regalo che potessi farti, meglio persino della bottiglia di Macduff Samaroli del ’76 che ti avevo regalato per il compleanno. Invece dei soliti buoni propositi che ci si regala ad inizio anno, il mio è stato una nuova vita.
Li per li, un attimo dopo aver parlato, mi sono sentita cadere il mondo addosso. Ho pensato d’aver fatto una cazzata, d’aver buttato all’aria la mia vita, d’essere stata avventata. Ma avventata non lo sono stata di sicuro, io ci penso sempre tanto prima di prendere decisioni importanti, ed era quasi un anno che ci riflettevo sopra. E quante volte in quell’anno ho cercato di far decidere te. Quante volte ti ho detto che se volevamo continuare insieme, doveva essere per il presente e non per il passato. La tua insofferenza era diventata palpabile, la tua nuova vita era già lì pronta ad aspettarti, eppure non hai voluto prenderti il carico della decisione. E quello lì è stato l’anno più brutto della mia vita.
Il giorno in cui sono tornata da Düsseldorf e ho visto l’armadio vuoto a metà, è stato il punto più basso della china. Lo sapevo già che lo avrei trovato così, ma sedermi li davanti a guardare quelle poche stampelle penzolanti nel vuoto è stato come un calcio nello stomaco. Ho pianto davanti a quel vuoto, tanto, tutto quello che non avevo mai fatto prima.

E poi mi sono rialzata, come ho sempre fatto, fisicamente e mentalmente.
Ho ricominciato, con la consapevolezza di aver fatto tutto quello che potevo fare, e la sensibilità di comprendere che la tua vita non è paragonabile a quella di tutti gli altri. In fondo, credo di averlo sempre saputo che non sarebbe durata in eterno.
Catarsi, ripartenza, ci sono state lacrime, nottate insonni, giornate deprimenti e momenti difficili. Mi sono sentita addosso tutto il peso del fallimento, il senso di inadeguatezza, il non aver saputo essere all’altezza delle tue aspettative. Sei stato la persona più importante della mia vita, ma non potevo abbandonarmi nel ricordo di qualcosa che non c’era più.
Perché io non mi perdo mai d’animo, ho fiducia nelle mie mie capacità, in tutto ciò che dipende solo da me, sono abituata a cavarmela da sola. Ho reagito, e ho deciso che questo anno lo dovevo dedicare a me stessa, ciò che è successo doveva essere un’opportunità, non un motivo di distruggersi piangendo su se stessi.

E ho fatto la cosa che più amo e che più mi era mancata in questi anni: viaggiare.
Sono stata in Tanzania con una onlus come volontaria per la costruzione di una maternità, a Stromboli per salire in cima al vulcano, in Sardegna perchè non posso fare a meno del mare, quello vero dove nuotare e sguazzare nell’acqua. E poi due dei sogni che avevo nel cassetto: Islanda e Giordania. Alcuni viaggi con amici, altri con perfetti sconosciuti incontrati per la prima volta all’aeroporto, sono andata alla cieca e sono stata ripagata con nuove amicizie.
Piano piano ho dimenticato, piano piano sono cambiata, o forse è solo uscita fuori una parte di me che c’è sempre stata ed era lì nascosta da tanto. Quando inzi ad aprirti al mondo, il mondo si apre a te e questo l’ho constatato su me stessa.

È stato bello rendersi conto di quante persone mi sono state vicino, dalle “sicurezze” storiche a chi si è avvicinato inaspettatamente. Sono stata sola solo quando ne ho avuto bisogno io. Dei miei momenti più o meno lunghi fuori dal mondo ne ho sempre avuta necessità.
Tanto del merito di questa rinascita lo devo ad una persona che ho conosciuto per caso, sempre ammesso che il caso esista, e non lo ringrazierò mai abbastanza. Una presenza che mi ha aiutato con dolcezza ma anche con qualche bella scrollata a riacquistare la fiducia in me stessa e a capire che il problema non ero io. Che si deve essere sempre se stessi. Che i sentimenti non vanno nascosti. Che non bisogna tenersi dentro le cose, che sia un malessere o la voglia di dire a qualcuno “sei importante per me”. Qualcuno è rimasto stupito di quanto rapida sia stata la mia ripresa. Ho risposto che del periodo veramente brutto, tutto l’anno precedente, non si era accorto nessuno tranne un paio di persone, e quando la decisione è arrivata, è stato come premere un interruttore. Off. On.

Ho ricominciato a lavorare al blog, ed ora eccomi qui, a condividere un fetta importante della mia vita. Se mi guardo indietro, non ho rimpianti. E’ stata dura staccarmi da te, ma rifarei tutto quello che ho fatto anche se dovessi sapere in anticipo la fine, anche se oggi posso dire che il regalo che ho fatto a te un anno fa era anche il più bello che potessi fare a me.
« Io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati », cantava De André. Ma la cosa più importante è che ora io sto bene, sto veramente bene.
E non c’è modo migliore di dirlo che con questo pezzo.

“Feeling Good” – Nina Simone

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One World

“One world is enough for all of us”

“One World/Love is the seventh wave” – Sting

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Può bastare

Una notte stellata, un sacco a pelo e buona musica di sottofondo. Può bastare.

“Human Nature” – Miles Davis