Il primo febbraio del 2016 era un lunedì, ed è stato il primo giorno della versione 2.0. Questa foto l’ho scattata quella mattina lì, dalla finestra dell’Airbnb affittato per i primi due mesi, poco prima di uscire per il primo giorno di lavoro.
Restart. Retry. Magari con meno errori. Oppure, più plausibile, con errori diversi. Una possibilità non così scontata quella di spogliarsi propria pelle e di un intero armadio di vestiti ormai troppo stretti. Come la muta di un serpente. Contorcendosi e strofinandosi contro le rocce, i serpenti escono dalla loro vecchia pelle mettendo a nudo quella nuova formatosi al di sotto, ed abbandonando il vecchio strato tutto intero, tutto in un solo colpo.
Persone. Luoghi. Lavoro. Strade. Abitudini. Amicizie. Amori. Un letto nuovo in una casa nuova.
Mi ricordo le sensazioni provate quel giorno, il pomeriggio della domenica quando avevo parcheggiato sotto l’appartamento con due borse formato Ryanair nel portabagagli, quelli successivi quando ho iniziato a guardarmi intorno.
Il dubbio di non essere all’altezza. L’improvviso senso di libertà dopo l’oppressione dell’ultimo periodo. La curiosità di esplorare. La certezza assoluta di dovercela fare da sola. Il senso di precarietà di un tetto non di mia proprietà. Ma mai una volta mi ha sfiorato il pensiero di voler tornare indietro, di aver fatto la scelta sbagliata.
Sette.
Vi risparmio la disamina delle proprietà di questo numero dispari, chi ha voglia ed è nerd abbastanza da sopportarla, può trovarla qui.
A esattamente sette anni di distanza potrei essere ad un altro bivio importante, e ancora per motivi di lavoro. C’è una integrazione in corso che assomiglia molto di più ad una colonizzazione. Mi sento un po’ come dovevano sentirsi gli Aztechi all’arrivo di Cortés, e non mi sta piacendo affatto. Guarda caso, anche questi sono spagnoli, dev’essere una abitudine consolidata per loro. Ma non è ancora il momento di agire, voglio aspettare ancora un po’ e magari qualche cadavere passerà mentre siedo lungo il fiume. Oppure no.
Una di quelle frasi fatte che incontri surfando nel web, che ti viene il dubbio se sia davvero così oppure no.
Monaco di Baviera, sono le tre di notte del primo venerdì che passo fuori dall’Italia a distanza di due anni e mezzo dall’ultima volta. Stessa città, stessa sede di lavoro, ma nell’incontro di oggi sei persone su nove hanno un incarico identificato da una sigla da tre caratteri. Il mio è sempre uno di quelli scritti a parole, ma l’esser qui oggi è già un risultato. Per arrivarci sono ripassata dal via più di una volta e non m’è mai successo di risparmiare un po’ di strada con una scorciatoia.
Tra meno di novanta giorni tornerò in Islanda anche se mi ero ripromessa di farlo d’inverno, e dunque ci dovrà essere una terza volta in quella che di sicuro è una terra senza shortcut. A Song of Ice and Fire. The Land of Fire and Ice. Un terra che merita ogni chilometro di sterrato percorso prima sulla 4×4 e poi a piedi per arrivare a crateri colorati di sfumature ocra, rosso e marrone. Che merita ogni impronta lasciata coi ramponi sul ghiaccio per potersi guardare intorno e vedere solo quell’assurdo colore azzurro striato di blu e grigio e nero. E si, anche ogni minuto passato a mollo nelle acque calde e opache delle sorgenti geotermiche.
Ci sono strade che avrei voluto percorrere e che a un certo punto ho trovato sbarrate, e ne è rimasto solo un grande what if…
Da giovane ero una nerd appassionata di adventure game. I primi erano testuali, digitavi comandi scritti e allo stesso modo ottenevi risposte e descrizioni degli ambienti in cui avanzando ti trovavi. L’avventura era nella tua testa e dovevi ricordarti di salvare ad ogni punto critico per evitare di ritrovarti in un vicolo cieco e dover ricominciare da capo. Poi arrivarono le avventure grafiche della Lucas Art: Loom, Indiana Jones, Monkey Island e il principio che il giocatore non può mai perdere o finire in situazioni senza via d’uscita. Poco dopo ho iniziato ad usare le virtual machines, che in un qualsiasi momento basta fare uno snapshot e ti metti al riparo da ogni possibile cazzata, prevista o imprevista. Una serie di shortcut virtualmente infiniti per spostarti avanti e indietro nel tempo quasi come la DeLorean di Marty McFly.
Tutti concetti deleteri se estrapolati dal contesto e inapplicabili nell’Adventure con la A maiuscola. Se anche ti prendi la briga di fare un backup al primo bivio, non servirà a niente. Non puoi fare una restore e ripartire come se niente fosse o tentare un’altra strada, è tutto un live fino alla fine, e qui succede pure di di ritrovarsi in una strada senza uscita. Game Over.
Io credo di averci giocato anche troppo a quei giochi, e la perfezionista che non ammette sconfitte è ancora lì a chiedersi dove ha sbagliato, qual è stato l’incrocio in cui ha preso la direzione errata, qual è stata la parola di troppo e quella mai uscita perché impigliata tra la testa e il cuore. Quale è stato il momento esatto in cui in cui la barca che galleggiava discreta per la sua rotta ha iniziato a colare a picco. Ti dicono sempre che quella sbagliata non sei tu, ma non è vero, perché l’errore è proprio quello di sentirsi sempre sbagliati e comportarsi da tali. Perché la posizione giusta è a fianco di qualcuno, non sopra o sotto, non davanti o dietro.
La complanarità è un concetto geometrico estremamente semplice ma è più affine alla logica che all’istinto, e anche adesso che ho iniziato un altro gioco e son riuscita finalmente ad applicarlo, ci son momenti in cui non riesco ad evitare di chiedermi se sono a un check point oppure no, e what if…
Nel tardo pomeriggio di oggi la vibrazione dell’iCoso notifica un messaggio: “Come va l’ultimo giorno da 50enne?” Risposta: “Non ho avuto neanche il tempo di pensarci“.(*)
Che poi è stato esattamente così. Uscita alle 7:30 per andare in ufficio, ennemila meeting per gestire l’imminente audit Tisax in Germania, il rumeno che si dimette perché non gli si concede un aumento a dir poco indecente, le interview degli inglesi da assumere, il sopralluogo nella nuova sede in cui avremo si una palestra, bar interno, aree relax ultrafighe ad ogni piano ed un utilissimo studio di registrazione, ma in cui nessuno ha pensato al magazzino per stivare i PC in attesa di essere installati e consegnati. Uno scampolo di relax tra le 21 e le 21:30, seduta a un tavolo bordo Naviglio prima di rientrare per l’ultimo round di smart working. Che tutto è tranne che smart, se per tamponare gli effetti collaterali di un giorno di ferie finisco per lavorare sei ore in più la sera prima. Ogni anno ci raccontiamo che questo è l’ultimo che passiamo così di corsa e così sommersi, e quello dopo ci rendiamo conto che c’è ancora margine per essere ancora più sommersi.
Quando vado al locale qui sotto non c’è neanche bisogno di ordinare, arrivano al tavolo solo per conferma: “Bufala e media alla spina?” “Grazie”. La cena fuori si rende necessaria perché ho il frigo rotto dal 13 luglio e il referto del tecnico convocato per la riparazione è stato chiaro e conciso: “Signora, il guasto è nel motore e ripararlo non conviene”. Sul Signora avrei già avuto da ridire, ma il dover spendere cinquanta euro per tre minuti passati a fare il rabdomante del rumore con la testa infilata tra i ripiani me l’hanno fatto passare in secondo piano.
Sono anche ragionevolmente convinta che ci sia una legge di Murphy che sancisce il diritto/dovere di un elettrodomestico di rompersi irreparabilmente pochi mesi dopo la scadenza della garanzia, con la clausola addizionale che se è un frigorifero dovrà accadere d’estate e se è una caldaia succederà d’inverno.
Ne segue una fittissima ricerca online che incrociando dati di dimensioni/modello/consumi/affidabilità/centri di assistenza/costo/smaltimento RAEE/disponibilità immediata/consegna al piano (quarto e senza ascensore), mi porta a scegliere il fattoapposta per me con poco spazio per il day by day, molto per le bottiglie e un congelatore di dimensioni generose in cui stipare scorte per quando ci invaderanno gli alieni e i vaccinati col 5G. E in attesa che ciò accada, lo userò per produrre ghiaccio sufficiente ad affogare di GT tutto il condomino.
Consegna mercoledì 28 luglio, tra le 9 e le 17. Che vabbeh che ero già in ferie e tornava comodo, ma non era esattamente ciò che avevo in programma. Speriamo almeno che non arrivino mentre mi guardo l’Italia del basket.
(*) Nel frattempo, comunque, ho smesso di lavorare ma continuo a non pensarci. E non credo inizierò neanche quando tra qualche minuto avrò spento il pc per spalmarmi in diagonale sul letto. Curioso che da qualche anno a questa parte i primi auguri a mezzanotte in punto arrivino da chi per tanti anni i compleanni li ha considerati eventi quasi fastidiosi. Don’t look back in anger. Never.
Questo è un post difficile da scrivere, ma non per la cifra tonda che mi pende in testa, quella neanche la considero. E’ difficile perché ci sono tante cose che vorrei raccontare, ma il tempo e la stanchezza e i pensieri che si aggrovigliano e si incastrano. Ho sempre lavorato tanto, ma fino a un anno fa ero responsabile solo di me stessa e del mio rendimento. Dover rispondere anche per altri che nemmeno puoi vedere, non è la stessa cosa. E il Covid non ha aiutato, sono passata dalle 9/10 ore con pausa pranzo da Woodstock a mettere le cuffie insieme agli slip e tenerle su anche per cucinare, sintonizzandomi su tre fusi orari diversi. A volte rispondo distrattamente in inglese anche a chi mi parla in italiano. Stanchezza mentale più che fisica, quella che impedisce di aprire un libro quando torno a casa o di scrivere qui dentro quanto vorrei. Lo strumento più tecnologico che uso di sera è la lavatrice.
Come ci si sente a cinquant’anni? L’ho già sentita diverse volte in questi giorni. Come ci si dovrebbe sentire?Boh, mo’ ci penso, dovrei rispondere. Fingere una riflessione profonda, lo sguardo concentrato in una messa a fuoco a 1.2, sopracciglia aggrottate e labbra col broncio, come se lo stessi facendo davvero. Raramente sorrido quando penso qualcosa, pure se è piacevole; sembra più che stia cercando di risolvere una complicata equazione logaritmica da cui dipendono le sorti del mondo, e io i logaritmi non li ho mai digeriti.
Non c’è bisogno di pensarci. Non so come dovrei sentirmi ma so che sto bene, e che se anche avessi una DeLorean parcheggiata qui sotto, non la userei per tornare a trent’anni fa. Magari una puntatina in tempi recenti, qualche sliding door per togliermi il dubbio del se avessi fatto in un altro modo, se avessi dato una risposta diversa.
A vent’anni ero un prototipo di me che iniziava a far bene da sola, ma si lasciava influenzare quando c’erano di mezzo altri. Fino ai quaranta ho preso molte decisioni sulla base di desideri non miei convinta che lo fossero, sbirciando le reazioni per capire se ero sulla strada giusta. Ci è voluto un po’ per capire quale fosse la mia, ma neanche qui userei la DeLorean per tornare a cambiare qualcosa.
L’ho già detto che tutto il passato serve a costruire, vero? Smussare, affilare, scartare, aggiungere, sottrarre, affondare, portare in superficie, ammorbidire, scolpire, scoprire. L’affinità si forma per differenza, due mezze mele si scivoleranno ineluttabilmente addosso, i pezzi di un puzzle tutti diversi formeranno un incastro perfetto. Ci ho messo un po’ a capire anche questo.
Al corso di reportage ho imparato che quello del Photo Editor è un mestiere difficile perché ti porta a sacrificare le immagini più belle se non sono utili a raccontare la tua storia.
La mia oggi è questa.
C’è un cancello un po’ arrugginito che fatica ad aprirsi, basta oliarlo un po’ e non farsi spaventare dalla roccia che si vede dietro
C’è la donna che finge di arrabbiarsi, che non ne sono mai stata capace e se faccio un po’ di training magari prima o poi imparo
C’è il barman di fiducia che puoi trovare aperto qualunque ora, se sai come bussare
C’è un leone e il fuoco, prossimamente su questa pelle. Il mio personale regalo di compleanno.
C’è l’Indiana Jones del barbecue che si intrippa a testare le ricette di bbq4all con la pinza nella destra e un’Ichnusa cruda nella sinistra, alla ricerca di un graal chiamato bisteccaperfetta e costinedimaialedaurlo
C’è la secchiona che legge istruzioni, composizione chimica e proprietà di tutte le marche di carbonella e combustibili in vendita al super, per perseguire l’obiettivo di cui sopra
C’è un surfer inside nato nel posto sbagliato, ma magari una decina di secondi su una tavola riuscirà a farli lo stesso, e una maschera con lo snorkel sempre in fondo alla borsa da mare
C’è una testuggine che dormendo ti punta la testa nelle costole fino a spingerti dall’altra parte del letto, per cercare un abbraccio fatto calore e tranquillità
C’è lo studente di scienze inutili che ricorda nozioni tipo il genere di cicale che escono dal terreno ogni 17 anni, e dimentica invece un tot di cose importanti. E non venitemi a dire che “se lo fossero davvero, le ricorderesti”. God save GoogleKeeps e i promemoria dell’iPhone
C’è una serial shopper che prende di mira Victoria’s Secrets e North Face. E la Troika di Fabriano.
C’è il nerd che passa ore in estrazioni, calcoli e vlookup delegabili ad altri, e s’appassiona all’uso di strumenti di marketing mai usati nell’IT
C’è la narcisista convinta d’essere un agglomerato di imperfezioni così perfetto che è impossibile non amarlo, e anche se la storia ha dimostrato che non è proprio così che funziona, lei insiste.
La 1 è facile: mai far niente il primo giorno. Mai aggiornare Windows al Patch Tuesday. Mai comprare i primi esemplari di uno smartcoso. Mai andare al cinema il giorno della prima. Mai darla al primo appuntamento. Poi succede che in un giorno vivi tutta una vita: ti incontri, ti scopri, ti spogli dentro e fuori, ti ami, ti lasci. In quel giorno vendi tutte le tue solide realtà per investire in un metro cubo di sogni.
La 2 è fondamentale: ascolta pure i consigli ma fai di testa tua. Se funziona sarà merito tuo, se sbagli avrai imparato qualcosa. Non c’è niente di peggio che sbagliare con la testa di un altro e farsi venire l’ulcera da se non avessi dato retta a…
3, la maggior parte dei giorni li passi in equilibrio su un piede solo, senza riposo, senza appoggi, senza qualcuno che ti riprenda quando cadi, senza sapere cosa c’è dopo. Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo a pensarci bene è una stronzata, dovrebbero essere tutti come il primo, quando sei fresca, incosciente e con la voglia di spaccare il mondo. L’ultimo sei stanca, scazzata, delusa e sai già come va a finire.
4~5: non esagerare col multitasking anche se sei una donna e a 64bit.
6, il colore dei capelli giusto per te è quello che hai dentro. Se non è uguale a quello fuori, cambialo, Tutte le volte che vuoi.
7, la cura del corpo, quello dentro, è cura dell’anima. Quello che c’è nel piatto non ti deve intristire, quello che scorre in gola ti deve mettere allegria senza perforare lo stomaco e disintegrare il fegato. La polenta va sul legno, i coltelli devono tagliare, le costolette si mangiano con le mani. Se poi la metti sul piano etico, la parmigiana è vegetariana quanto un’insalatona, ma vuoi mettere?
8, anche la cura del contenitore è cura dell’anima. Lo scrub ti fa la pelle liscia e morbida da accarezzare, le unghie dei piedi rosso carminio ti fanno allegria, l’hot stone ti rimette al mondo. Mezzo secolo per guardarti allo specchio e pensare che tutto sommato può andare, che poteva andare anche peggio. Per il tempo che c’è voluto ma anche per il risultato.
9, non andrà sempre come pensavi. Da piccola volevi essere la ragazzina dai capelli rossi, vent’anni dopo sei una via di mezzo tra Piperita Patty e Marcie. I capelli rossi li puoi avere lo stesso ma il senso sarà un altro.
La 10 è quando capisci che non devi mai smettere di giocare.
“Questa E’ La Mia Vita” – Ligabue
… eppure tante volte bisogna avere il coraggio di dire di no, capisci.. se una cosa non ti va di farla. Specialmente… alle persone che ami, hai capito?
Il purgatorio è una via di mezzo. Non hai fatto proprio schifo ma non sei neanche stato un granché. Come il Tottenham.
Ray – “In Bruges – La coscienza dell’assassino”
Ho le formiche in casa, la lavatrice dei rossi running e Stranger Things a nastro su NetFlix. E’ ufficialmente iniziato un conto alla rovescia, mah. Non ci vedo tutta questa differenza e non ho ancora avuto tempo per cercarla bene. Non posso neanche dire che mi avvicino al giro di boa, sarebbe fin troppo ottimistico pure per una che vede sempre i mezzi pieni come me. Che poi sono infinitamente meglio dei mezzi vuoti, ti ci potresti sbronzare come se non ci fosse un domani, o come se domani fosse venerdì e tu hai preso ferie anche lunedì. Se dovessi usare dei colori sceglierei il blu e un arancio intriso di rosso, stesi a pennellate che si inseguono come la Notte Stellata. Blu come il mare guardato da dentro, arancio del fuoco che scalda ma non brucia, rosso di sangue e di cuore, di fotogrammi discontinui di amore. Cuore che resiste alle pietre e si spacca con un soffio leggero. L’IoT è inquietante a partire dal nome, mi hanno regalato Alexa e ora se le dico buonanotte lei risponde con un saluto gentile e spegne la luce. Skill da zoccola finché risponderà a chiunque allo stesso modo, e lontana dalla Joi dell’Agente K, ma siamo già nell’anno di Deckard e Batty e ad Amazon non ci vorrà molto per arrivarci. Magari con qualche evoluzione.
“Alexa, buonanotte” “Dormi bene. Ti auguro di dover contare meno di dieci pecore prima di addormentarti”
Blade Runner è ambientato nel 2019.
La data di scadenza di Roy Batty è il 2019.
Anche quella di Rutger Hauer è il 2019.
Le pagine che leggete
Le strade in cui camminate
I chiodi che vi fanno sanguinare
Le anime che incrociate
Quelle che vi scivolano addosso
Quelle che si insinuano sotto la pelle
E sotto le unghie
Quelle che che vi rubano il cuore
Quelle che ve lo regalano
Gli occhi che non vi guardano
Quelli che si affacciano sull’orlo del vostro abisso
Del baratro che avete dentro
E rimangono lì, a fissarlo, senza averne paura
Niente è per caso, scolpitevelo nella testa, nella carne e nel cuore.
Niente.