Shortcuts

Shortcuts

There are no shortcuts to any place worth going

Una di quelle frasi fatte che incontri surfando nel web, che ti viene il dubbio se sia davvero così oppure no.

Monaco di Baviera, sono le tre di notte del primo venerdì che passo fuori dall’Italia a distanza di due anni e mezzo dall’ultima volta. Stessa città, stessa sede di lavoro, ma nell’incontro di oggi sei persone su nove hanno un incarico identificato da una sigla da tre caratteri. Il mio è sempre uno di quelli scritti a parole, ma l’esser qui oggi è già un risultato. Per arrivarci sono ripassata dal via più di una volta e non m’è mai successo di risparmiare un po’ di strada con una scorciatoia.

Tra meno di novanta giorni tornerò in Islanda anche se mi ero ripromessa di farlo d’inverno, e dunque ci dovrà essere una terza volta in quella che di sicuro è una terra senza shortcut. A Song of Ice and Fire. The Land of Fire and Ice. Un terra che merita ogni chilometro di sterrato percorso prima sulla 4×4 e poi a piedi per arrivare a crateri colorati di sfumature ocra, rosso e marrone. Che merita ogni impronta lasciata coi ramponi sul ghiaccio per potersi guardare intorno e vedere solo quell’assurdo colore azzurro striato di blu e grigio e nero. E si, anche ogni minuto passato a mollo nelle acque calde e opache delle sorgenti geotermiche.

Ci sono strade che avrei voluto percorrere e che a un certo punto ho trovato sbarrate, e ne è rimasto solo un grande what if

Da giovane ero una nerd appassionata di adventure game. I primi erano testuali, digitavi comandi scritti e allo stesso modo ottenevi risposte e descrizioni degli ambienti in cui avanzando ti trovavi. L’avventura era nella tua testa e dovevi ricordarti di salvare ad ogni punto critico per evitare di ritrovarti in un vicolo cieco e dover ricominciare da capo. Poi arrivarono le avventure grafiche della Lucas Art: Loom, Indiana Jones, Monkey Island e il principio che il giocatore non può mai perdere o finire in situazioni senza via d’uscita. Poco dopo ho iniziato ad usare le virtual machines, che in un qualsiasi momento basta fare uno snapshot e ti metti al riparo da ogni possibile cazzata, prevista o imprevista. Una serie di shortcut virtualmente infiniti per spostarti avanti e indietro nel tempo quasi come la DeLorean di Marty McFly.

Tutti concetti deleteri se estrapolati dal contesto e inapplicabili nell’Adventure con la A maiuscola. Se anche ti prendi la briga di fare un backup al primo bivio, non servirà a niente. Non puoi fare una restore e ripartire come se niente fosse o tentare un’altra strada, è tutto un live fino alla fine, e qui succede pure di di ritrovarsi in una strada senza uscita. Game Over.

Io credo di averci giocato anche troppo a quei giochi, e la perfezionista che non ammette sconfitte è ancora lì a chiedersi dove ha sbagliato, qual è stato l’incrocio in cui ha preso la direzione errata, qual è stata la parola di troppo e quella mai uscita perché impigliata tra la testa e il cuore. Quale è stato il momento esatto in cui in cui la barca che galleggiava discreta per la sua rotta ha iniziato a colare a picco.
Ti dicono sempre che quella sbagliata non sei tu, ma non è vero, perché l’errore è proprio quello di sentirsi sempre sbagliati e comportarsi da tali. Perché la posizione giusta è a fianco di qualcuno, non sopra o sotto, non davanti o dietro.

La complanarità è un concetto geometrico estremamente semplice ma è più affine alla logica che all’istinto, e anche adesso che ho iniziato un altro gioco e son riuscita finalmente ad applicarlo, ci son momenti in cui non riesco ad evitare di chiedermi se sono a un check point oppure no, e what if


“L’isola che non c’è” – Edoardo Bennato

Skyway 3469

Skyway 3469

Finally.

“Stairway to Heaven Live” – Led Zeppelin

Flashback (Da Taranto a Terni, 9 Ottobre 2014)

Flashback (Da Taranto a Terni, 9 Ottobre 2014)

Poche cose mi toccano quanto la questione dell’acciaio. Ci ho messo un po’ a digerire il tuo ultimo post e avevo iniziato a commentare sotto, ma le righe s’allungavano e allora è finito qui, anche se non son certo capace di scrivere nello stesso modo.

Un post che è un flashback. Taranto e Terni, due città intrise di questa lega ferro-carbonio fino alle ossa. Di tutta la popolazione, perché non c’è nessuno che non abbia un padre, un figlio o un fratello nello stabilimento o in una delle controllate.

Quando nel ’94 il governo Prodi ha privatizzato le Acciaierie io ero già dentro, mio padre prima di me per trentacinque anni. C’ero quando l’accordo garantito da Schröder e Berlusconi finì nel cesso e l’intero reparto del magnetico fu chiuso.
C’ero quando il getto d’olio bollente uccise sette colleghi a Torino, nello stabilimento già destinato alla chiusura. Del processo che seguì, parliamone.
C’ero quando la fabbrica è stata acquistata dai finlandesi, obbligati poi un attimo dopo a rivenderla dalla commissione antitrust europea.
Ci sono stata ogni volta che un accordo siglato per il mantenimento delle quote produttive è stato disatteso e trasformato in una riduzione del 50%. Con la logica riduzione del personale.

Nella foto qui sotto c’è il riflesso della torre del BA, l’impianto di finitura che produce quei meravigliosi rotoli a specchio universalmente conosciuti sotto forma di cestelli di lavatrici o posate Alessi. L’ho scattata nel piazzale interno, quello che di solito accoglie TIR e treni, quello in cui ci si ritrovava per gli scioperi e le brutte notizie. Era il 9 ottobre del 2014, il giorno in cui ho capito che il mio lavoro era andato a puttane, che la mia vita 1.0 si stava frantumando come l’asfalto che calpestavo.

Poco dopo mi sarei ritrovata a Roma a prender manganellate dalla polizia, a bloccare stazioni ferroviarie e caselli autostradali a piedi, poi ancora a Bruxelles per cercare di difendere l’indifendibile, era tutto già deciso. Nessuno ha ascoltato le nostre ragioni, o forse si, ma nel bilancio dell’economia europea e mondiale sono altre le forze che contano. Tre mesi di sciopero, quattrocento dimissioni “volontarie“. A costo zero le mie, che ho provato a resistere fino all’ultimo.

Leggo e continuo a trovare similitudini. Ci vuole un Nobel in economia per intuire che se vendi una fabbrica a un competitor straniero, al primo problema chi ci rimette è la tua terra? Che il sindacato tedesco è unitario e più forte, e un operaio di Bochum vale il sacrificio di 600 nostri? Che gli accordi scritti valgono quanto la carta straccia? Che le ragioni della concorrenza non hanno niente di umano ed è più conveniente sfruttare indiani senza protezione che investire sul risanamento ambientale di un sito italiano? Che ai più giovani non gli puoi offrire una casa e un futuro a rate di contratti interinali? E il particolare che l’AD di Arcelor Mittal Italia di oggi sia lo stesso delle dimissioni volontarie di cui sopra non è trascurabile.

Abbiamo una galleria che qualcuno ha pensato di far passare esattamente sotto la discarica dell’acciaieria, e ora che le infiltrazioni fanno scendere acque contaminate sulle auto in transito, il problema è discutere sulla percentuale di pericolosità del cromo esavalente e sui danni economici della chiusura per lavori, invece che affrettarsi a rifare l’impermeabilizzazione.

L’incidenza dei tumori è ugualmente ben oltre la media, e colpisce sempre più presto. Mi ha toccata personalmente e profondamente. Mio padre non ha avuto il tempo di vedere la mia vita 2.0, per il suo tumore al fegato sono bastati sei mesi. La mia migliore amica è uscita bene da uno all’utero, ma grazie alle cure ricevute in un’altra regione. Terni non è famosa per la qualità della medicina pubblica e neanche per la rapidità dei servizi: devi avere qualche soldo da parte per poterti permettere cure private o in un’altra regione, altrimenti hai un problema. A volte non risolvibile.

Leggo e penso che il passato non ha insegnato niente. Una serie di flashback tutti uguali a se stessi. Chiunque ci sia in alto, qualunque sia la fabbrica, gli errori son sempre gli stessi. Come le vittime.

La mia fuga non è stata una resa, me ne sono andata con le armi in pugno per non lasciar vincere loro contro di me. Fuga per la vittoria ma anche fuga per la sopravvivenza. Qualcun altro si è adattato, io non ci sono riuscita. Non so quanto ci sia di onorevole in questo, però so che l’acciaio si tempra e ti tempra. E’ questo che contraddistingue chi d’acciaio ci vive.

“Una guerra fredda” – Le Luci della Centrale Elettrica

Alcune cose che ho imparato della Scozia/#3 (Scegliete la vita)

Alcune cose che ho imparato della Scozia/#3 <em>(Scegliete la vita)</em>

Non è un paese per giovani. Tutte le Betty dei B&B in cui abbiamo alloggiato sono adorabili casalinghe di mezza età che al mattino ti svegliano col profumo di apple pie appena sfornata, cucinano uova strapazzate solo per te sul piano cottura a otto fuochi ed è tutto lovely oppure awful. Chiome bionde gonfie di bigodini, mariti dediti al DIY con una cura maniacale per le siepi e i muretti a secco, moquette beige inverosimilmente morbide e immacolate anche al piano terra. Carte da parati, maxischermi e divani a quadri, figli e nipoti visibili solo in formato A4 appesi alle pareti del salottino. Ma i nani da giardino vestiti da surfisti flippati fanno sorgere dubbi.

Non è neanche un paese per deboli, e come dice chi c’è nato, ha solo due stagioni: giugno e l’inverno. Il binocolo che è in ogni casa non è chiaro se serva a scambiarsi segnali coi vicini o scrutare il cielo per prevederne le evoluzioni. Che si trovino davanti un allevatore, un pescatore o il marito della Betty, il vento piega, l’oceano scava, l’inverno tempra. E alle sei del pomeriggio, allevatore, pescatore, Betty e marito di Betty sono tutti connessi al social network preferito.

E quindi figli e nipoti dove sono? Glasgow è un ingorgo di auto, vetri specchiati e residui industriali; la periferia di Edimburgo una sequenza ininterrotta di casette grigie dalle finestre a riquadri, tetto ardesia e giardinetto curato ai lati del corto vialetto. Per percorrere le quaranta miglia tra una città e l’altra ci son volute due ore, pare d’essere in tangenziale alle otto e mezzo del mattino e ti viene pure da chiedere: ma se lavorate a Glasgow perché diavolo vi siete presi casa a Edimburgo? Il Royal Mile è un troiaio di souvenir tartan e persone di tutti i tipi, il Fringe festival aggiunge un ulteriore livello di casino, sgomitare per uscirne al più presto e guadagnare le vie laterali.

Ecco, i figli e i nipoti delle Betty che sono sopravvissuti a un’infanzia coi surfisti da giardino è qui che hanno trovato rifugio. E adesso capisco meglio anche Trainspotting.

(Il viaggio poteva finire a Eilean Donan. Inverness è infestata dalla vicinanza di Loch Ness, Nessieland è un carrozzone turistico costruito dal nulla sul nulla intorno a un lago pure bruttino e visibile solo dal molo di imbarco delle crociere. Per il nulla, che se anche ci fosse stata davvero, Nessie, se ne è andata da mò a farsi i cazzi suoi in una baietta tranquilla delle Shetland)

P.S: Il mare mi è mancato tanto, e qualcuno dovrebbe inventare il teletrasporto per i viaggi di ritorno, che mi sono da sempre antipatici, e l’autolavaggio di tutte le robe sporche. Dopo aver chiuso la porta e mollato lo zaino in un angolo, ho resistito in casa il tempo di una lasagna, un aggiornamento sulla crisi di governo e due puntate di La Casa di Carta, poi fuori in bici che anche te mi sei mancata, e sei bella quando sei ancora quasi vuota.

“Lust For Life” – Iggy Pop

Alcune cose che ho imparato della Scozia/#2

Alcune cose che ho imparato della Scozia/#2

Il verde delle Ebridi sfugge a qualsiasi tentativo di catalogazione, non esiste neanche nello sterminato archivio Pantone. E’ sfacciato e invadente, e neanche la pioggia o le nuvole grigie riescono a smorzarlo. Di una bellezza imbarazzante.

Gli animali sono come la terra che calpestano. Ti guardano piantandoti gli occhi negli occhi senza indietreggiare, come a volerti dire questa è casa mia e qui comando io, e tu non mi fai paura. E infatti quando te li ritrovi in mezzo alla strada, sei tu che devi scendere dall’auto e pregarli di spostarsi.

Tanto evidente è la terra quanto discreto è il mare, che poi quello tutto intorno è già oceano ed è discreto finché non decide di bussarti alla porta. E’ di un blu profondo e intenso, che può diventare grigio scuro o argento luminosissimo come se Poseidone avesse deciso di placcarne la superficie per riflettere il sole e il colore del cielo.

A giudicare dai nomi degli scafi, gli armatori della zona amano il rock. Tutti carichi di nasse da granchi, ho immaginato i pescherecci al largo comandati dai capitani della Time Bandit o della Cornelia Marie, con adeguata musica di fondo.

Se ti siedi lungo la costa a goderti uno spicchio di sole, può succedere di notare un movimento nell’acqua e veder spuntare la testa di una foca.

Puoi piantare una tenda ovunque.

Quando ti dicono che puoi sperimentare le quattro stagioni tutte insieme, è vero. Passare in pochi secondi dal piumino e cappello di lana alle maniche corte coi piedi in acqua, e in altrettanto poco tempo dover ricomporre tutti gli strati. E si, piove spesso, ma non è un fastidio. E’ una pioggia leggera che basta alzare il cappuccio e continuare come se niente fosse, che al massimo tra dieci minuti è andata.

Eilean Donan dal vivo è ancora più bello che a fotografarlo. Quando cammini sul ponte ti sembra d’essere davvero dentro Highlander.

La densità media delle Ebridi è di cinque abitanti per  km², quelle delle Highlands scende a due, che è un terzo ancora meno dell’Islanda. Puoi percorrere miglia e miglia senza incontrare persone, cose, città, dischi volanti, mostri marini. L’unità abitativa denominata villaggio consiste in tre o quattro abitazioni lungo la strada, tutte uguali, tutte con il loro perfetto giardinetto, tutte adibite a B&B, tutte “No vacancies”.

Questa constatazione porta ad una serie di deduzioni, oggetto della terza ed ultima puntata.

“Play Me Like Your Own Hand” – Snow Patrol

Alcune cose che ho imparato della Scozia/#1

Alcune cose che ho imparato della Scozia/#1

La guida a sinistra è terrificante solo all’inizio. Mezz’ora di centro città per imboccare le rotatorie senza ansia, trecento miglia per guardare automaticamente a destra agli incroci, almeno cinquecento per non frisare tutti i marciapiedi. Ti abitui presto anche alle strade a corsia unica e con le pecore piantate nel mezzo. Quando riconsegni l’auto dopo aver superato le mille miglia, tieni la mano destra al volante, la sinistra sul cambio, e ti sembra quasi d’aver guidato sempre così. Il cambio manuale è stato però un evitabile atto di masochismo.

Le distillerie sono un viaggio nel viaggio, c’è solo da scegliere. Torno a casa con la conferma per i torbati di Islay e un souvenir in limited edition per riscaldare le serate invernali. Quanto al gin, anche lui nasce sul posto. Al super vendono lattine di gt ben composti, nei locali ti perdi tra bottiglie mai viste che assaggeresti tutte.

La Tennent’s che ti spillano qui è come la Urquell a Praga, non ha niente a che fare con quella che arriva in Italia. Scende in gola fresca e pulita, ne berresti ettolitri con o senza qualcosa di solido a fianco.

In Scozia si mangia bene, ma bene davvero, spendendo poco. Soup of the day ovunque senza neanche chiedere di che. Cozze, capesante, granchi e aragoste alle bancarelle sul molo del porto. E poi haggis, steak and ale, salmone, merluzzo, fish & chips con la pastella alla birra nei pub e nelle locande. Da innaffiare con la bionda di cui sopra o la Guinness extra cold che si usa qui.

Gli scozzesi sono socievoli anche con gli sconosciuti, dai sentieri di montagna ai tavoli dei pub non perdono occasione per parlarti. Alle sei del pomeriggio tutti i pub iniziano a riempirsi, e sedersi al bancone per la prima pinta e chiacchierare col vicino è una figata. Le altre figate sono che l’età media dei frequentatori è piuttosto alta e non vedi nessuno con lo smartcoso in mano anche se il wifi è gratis ovunque.

“Suddenly I See” – KT Tunstall

How to make a great whisky

How to make a great whisky

“Cadence to Arms (Scotland the Brave)”- Dropkick Murphys

Iceland with a view

Iceland with a view

Alcune sono comparse nel tempo ma non le avevo mai raccolte tutte insieme così come le avevo scattate. Sei compagni di viaggio conosciuti in aeroporto, duecento ore di luce, centomila chilometri quadrati fatti di terra, muschio, roccia e acqua in tutti gli stati, e la promessa di tornarci. D’inverno.

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“You do something to me (Rare live)” – Paul Weller

Sintomi

Non riesci più a leggere con la tivù accesa o la radio in sottofondo

Dici quello che pensi con sempre meno filtri

Ti disturba uscire lasciando il letto sfatto

Hai rimesso gli occhiali per guidare e guardare i film, ma li tieni su per parecchio altro tempo

Puoi cenare con un bicchiere di latte. O anche con una teglia di parmigiana

Le articolazioni delle anche e dei gomiti ti ricordano che esistono, quasi sempre in momenti poco opportuni

Dimentichi cose importanti

Dimentichi di dimenticare

Hai già pagato trent’anni di contributi. E comunque ce ne vorranno almeno altri quindici

Hai comprato due gonne lunghe fino alle caviglie

Discuti a tavola di politiche immigratorie, in evidente contrasto con un commensale che appena conosci

Dopo trentacinque anni di cerette, i peli sono animali fantastici e dove trovarli

Fai pratica con gli ospedali milanesi e il fascicolo sanitario elettonico

Hai comprato l’iPad nel 2012 ma deve ancora durare

Nessuno dei tuoi capelli è del colore originale

Uscendo dal bagno alle sette del mattino asciughi le gocce nel lavandino della cucina, prima ancora di vestirti

Il ferro da stiro è resident in camera, e stiri alla bisogna

Sai dire ti amo senza preoccuparti delle conseguenze, perché davvero delle conseguenze non ti importa più niente

Le date assumono una importanza relativa, ti ricordi il giorno ma confondi l’anno

Il vintage e l’usato diventano pre-loved

E un pre-loved è sempre, infinitamente, meglio di un nuovo di zecca mai amato da nessuno.

“Come As You Are” – Nirvana

Una Nave In Una Foresta

Una Nave In Una Foresta

Ed a volte ti vedi unico
Una nave in una foresta
Altre volte ti senti intrepido
Come un fiore in una tempesta

Ed a volte ti vedi stupido
Una lacrima ad una festa
Altre volte ti credi libero
Un cavallo sopra una giostra

Ed a volte ti vedi limpido
Il mattino in una finestra
Altre volte ti senti arido
Come un gesto che resta in tasca

“Una Nave In Una Foresta (Live)” – Subsonica