Vipero – L’auti

Una volta non succedeva così spesso. Sarà che ho passato i cinquanta?
E’ come una folata, sento proprio lo swoush e paffete! ripiombo al secolo scorso.

A ‘sto giro la colpa è della navetta che mi porta in pausa pranzo.
Agli orari della pappa gli avventori abituali si sono trasformati da viaggiatori spaesati a orde di studentelli imberbi che sfruttano il passaggio fino alla fermata del treno.
Zaini, caciara e…

…Swousssshhh…

“Còri disgraziato, senno’ lo perdi!…”
“A ma’, già nun me va de pijallo, ce devo pure còre?”

Immancabilmente, ogni mattina, mia madre dalla finestra e io di rimando, mentre dinoccolavo verso la fermata.

Tre auti per andare a scuola, tre per tornare.
In mezzo a ‘sti tre, il 97.

Avevo una visione romantica dell’Atac, da piccolo.
Gli auti verdi, il bigliettaio sullo strapuntino, i biglietti in mazzetti piccoli e sottili, di colori diversi, da 50lire.
Li strappavano col pollice, dopo averlo generosamente leccato. Il biglietto rimaneva lì, incollato alle impronte digitali del bigliettaio, pronto per essere afferrato.
Lui leccava, quindi faceva pollice verso ed il biglietto magicamente appariva sul ditone.
Il tutto senza smettere la cantilena: “avanti c’è posto…”.

Mi piazzavo sempre vicino all’autista, affascinato dal cambio a quattro marce con la leva orizzontale; dallo sterzo enorme, che a girarlo tutto si dovevano alzare in piedi; ma soprattutto da loro: le tre leve di ottone, reso lucidissimo dall’uso, del comando apriporte.
Seguivo i tubi dell’aria compressa fino al pavimento, immaginavo i flussi che governavano i soffietti. Sognavo di diventare comandante delle vie di accesso.
Pffff! Pffff! Pffff! Quanto potere in un semplice gesto.

Il romanticismo finì quando iniziai, per andare alle superiori, le corse col 97.
Dalla Stazione Trastevere fino a quasi il gruviera, all’Eur.
Stazione Trastevere era solo la seconda o terza fermata dal capolinea, eppure arrivava lì già pieno. Paolo Villaggio la scena dell’autobus in corsa nel film di Fantozzi deve averla immaginata proprio sul 97.
Mi son sempre domandato cosa mettessero a fare le fermate successive, lungo Viale Marconi. Non ricordo di nessuno che sia effettivamente riuscito a salire dopo piazzale della Radio. Già chi doveva scendere, poveraccio, era costretto a compiere un’impresa. Come rinascere, ogni volta. Uscire a spintoni dall’utero formato dal prossimo, solo che anziché avere un’ostetrica ad incitare “spingi! spingi!”, c’era una moltitudine che urlava “capo aspetta! capo apri! fermo capo che devono da scenne!”. Immancabile il pianto di gioia appena si toccava terra, cercando di ricomporsi dopo essere stati smembrati dalla calca.

Una volta una signora, piuttosto anziana, arrivò in pizzo alla porta. Ce l’aveva quasi fatta senonché il “capo” (l’autista) chiuse il soffietto, imprigionando la poverina nel mezzo dei battenti. “Apri! Apri! Capo apri dietro!”. Le urla furono immediate.
Ora, normalmente, la disavventura si sarebbe conclusa così, con la signora libera di scendere.
Quel giorno, invece, qualcuno era in vena di scherzi e cominciò una selva di “Chiudi! Riapri!” “No chiudi! Aoh apri!”. L’autista, con gli specchi interni oscurati dalla popolazione, obbediva come un automa ad ogni ordine.
Senza pietà, la vecchietta subì tre o quattro sportellate. Alla fine fu trascinata dentro e l’auto ripartì. Senza fiato, ebbe giusto la forza di mormorare: “delinquenti, ad una donna della mia età… ma dove siamo arrivati…”.
Al che si sentì, laconica e flemmatica, una voce proferire: “all’eure signo’…”.

La risata generale sgorgò senza ritegno, e nemmeno vergogna.
(N.d.A: Per chi non è romano: gli autobus non si chiamano così. Si dice auto. E se ne prendi più di uno: auti.
“Vado co’ l’auto” o “prendo l’auti”, quindi, equivale a dire “vado coi mezzi” (pubblici).
Usare l’automobile invece è “andare co’ a macchina” (ma la doppia cì è più simile ad una singola cì addolcita e successiva ad una “a” bella aperta)).

“Salirò” – “Daniele Silvestri

“Che figata chiamare con Skype”

Stai eliminando il telefono da tremila scrivanie ma eccitarsi così per il VoIP è perverso quanto guardare l’Ikea nuda dal buco della serratura.

È perverso andare al cinema Beltrade a vedere Incontri ravvicinati del terzo tipo  in lingua originale per il quarantesimo anniversario dalla prima uscita. E scoprire che non vendono popcorn.

È perverso che Martín Castrogiovanni faccia la pubblicità dei materassi.
Ma è perverso anche che io sappia chi è Martín Castrogiovanni. Con la í.

È perverso che il lunedì boulder, martedì e giovedi canottaggio, mercoledì e venerdì corsa per sbronzarsi al weekend di pomodori secchi sott’olio, caprini al caffè e gin tonic.

È perverso cercare di muovere braccia e gambe e schiena e remi a tempo tra loro e con le braccia, gambe e schiene e remi di altre tre persone avendo la coordinazione di un orso che balla il tango. Ma lo era anche iniziare ad arrampicare soffrendo di vertigini.

È perverso ascoltare i discorsi da future stronzetroietteconlapuzzasottoilnaso delle dodicenni del corso di nuoto ed aver voglia di prenderle quasi tutte a sberle.

È perverso sbirciare il corpo delle altre donne sotto la doccia per constatare che mi conservo sopra la media.

È perverso circondarsi di cose come surrogati di persone e usare il cuore per misurarne i battiti con la fascia cardio.

È perverso percepire l’odore di toscano in strada e fermarsi ad annusarlo. Più che sniffare l’odore d’erba che arriva dall’appartamento al piano terra.

È perverso inchiodarsi a guardare gli allenamenti di kendo senza considerare che non mi basterebbero le sere.

È perverso trovarsi a pensare a un leone vicino ad una carpa koi.

È perverso che hai conservato le mie fotografie. Che io non ricordi che la tua maglietta di Aplocalypse Now l’avevamo comprata insieme a Londra. Che mi hai sognata e hai dovuto dirmelo. E che ti risponda Poi valle a spiegare perché è forse la cosa più normale. Ed è perverso non sentire per questo un sano senso di rivincita.

È perverso aver voglia di comprare il mazzo di milanesi che staziona da mesi vicino alle piacentine nella vetrina del tabaccaio.

È perverso che io abbia scoperto il colore rosa, che i miei capelli debbano diventare sempre più rossi e che il bianco di questa casa mi sia sempre più intollerabile.

È perverso innamorarsi di un paio di scarpe da trail running sporche e impolverate.

È perverso non aver ancora imparato a fare la spesa per uno.

È perverso scattare close-up degli occhi, dei piedi e delle cicatrici al ginocchio sinistro.

E’ perverso che io compri libri a tema basket.

”Hanno bisogno di un allenatore che insegni loro la disciplina, che li aiuti a vincere e che li faccia divertire. Prima o poi, nella vita, tutti hanno bisogno di un allenatore”

Vinca il peggiore.

“One Of My Turns” – Pink Floyd

Enjoy the silence #3

non odi tutto questo?
odio cosa?
i silenzi che mettono a disagio… perche’ sentiamo la necessita di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?
non lo so… e’ un’ottima domanda
e’ solo allora che sai d’aver trovato qualcuno davvero speciale… quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento, e condividere il silenzio in santa pace

“Enjoy the Silence” – Lacuna Coil

 

Rust Never Sleeps

“Hey Hey, My My (Into the Black)” – Neil Young & Crazy Horse