In the Flesh?

A volte passo la notte a cazzeggiare sul tubo e a ripescare oldies but goodies… direi che i FF affiancati a RW non sfigurano, né qui insieme, né nella cover tutta loro al live di Reading

Enjoy, al volume che meritano.

Agenzia Viaggi Z&M – Ísland v.2

Agenzia Viaggi Z&M – Ísland v.2

Milano, un mercoledì di febbraio, settimo piano vista Palazzo della Regione. Sul tavolo, il secondo giro di GT e un tot di salumi e formaggi provenienti da un gioielliere del centro Italia. Intorno, una ternana trapiantata sul Naviglio Grande e due torinesi che spartiscono il tempo tra la capitale degli affari e quella delle auto. Uno è Ste, con cui condivido tranci di vita da qualche anno, l’altro è Zo, suo amico di lungo corso.

Con Zo ci conosciamo da poco ma ci siam capiti subito. Il ghiaccio a cubi grandi e regolari nei bicchieri e quello sulle montagne, le grigliate, una certa propensione per l’on the road e per qualche altra cosa che non si dovrebbe fare. Io poi da sempre lego più facilmente coi maschi che con le femmine, a meno che non siano come me. Forse perché sono un modello essential, forse perché sono cresciuta in mezzo ai metalmeccanici e lo STEM di cui si straparla tanto oggi lo pratico da trentatré anni buoni, forse perché le persone le osservo e le annuso prima ancora di parlarci.

Dunque tra una fetta di spalletta e un tocco di pecorino si parla di viaggi, di mete estive. Zo la butta là: Che ne dite dell’Islanda? Io rispondo senza neanche pensarci. Quando partiamo? Ci sono già stata dieci anni fa, ma tornerei domani mattina. Ste approva. Non è del tutto il suo genere, ma ci sta. E’ il primo vero viaggio che facciamo insieme, il covid ci ha stroncato una settimana a NY con tanto di biglietti già comprati per una partita di basket al Garden, investimento poi recuperato e reinvestito nell’affitto di una casa estiva in Liguria. La Fra ancora non lo sa ma ci starà anche lei, quindi è deciso. Road to Ísland.

Nel giro di pochi giorni prenotiamo volo + auto e buttiamo giù un itinerario su tutta la Hringvegur, più un paio di off road nella regione di Landmannalaugar e nella zona intorno ad Askja. Duemila chilometri in dodici giorni con una Subaru XV, pernottamenti in AirBnb e rifugi, un planning dettagliato giorno per giorno declinato nella versione Excel di Zo e nella mia qui sotto. L’organizzazione la gestiamo noi, cercando di rispettare le seppur minime richieste degli altri due (sistemazioni decenti, almeno una giornata in un posto civile tipo Reykjavík e l’avvistamento dei puffin)

Ogni giorno un colore diverso, con i siti visitati, i posti dove abbiamo dormito, ed i (pochi) locali in cui abbiamo mangiato fuori.
Roba da nerd, as usual, ma magari può essere utile a qualcuno.

Dodici giorni volano veloci, l’Islanda è sempre meravigliosa come me la ricordavo. Ancora mi stupisco di come sia possibile che il paesaggio cambi così radicalmente a perdita d’occhio a distanza di pochi chilometri, a volte di centinaia di metri. La nera e tagliente roccia lavica intorno ai vulcani. Il verde morbido del muschio. Il marrone tinto di zolfo degli altipiani. Il bianco striato di grigio e di azzurro dei ghiacciai, che è sempre la parte che sento di più. Quella che prima o poi mi riporterà qui d’inverno per la versione numero tre. Salgo con Zo sul Sólheimajökull mentre Ste e la Fra ci aspettano al margine dell’area delle escursioni. Di ghiaccio ce n’è visibilmente di meno, arretra al ritmo di 50 metri l’anno, e troviamo invece sabbia e terra che affiorano a tratti. A chi pensa che il climate change sia una un’esagerazione o una invenzione della Greta, suggerirei un giro da queste parti.

2012 vs 2022

Il vero colpo al cuore però me lo da la laguna di Jökulsárlón: dieci anni fa, esattamente nella stessa settimana dell’anno, era una distesa semi solida dove grossi iceberg stazionavano a lungo imprigionati da altro ghiaccio superficiale, per poi affacciarsi lentamente verso il mare o arenarsi sulla vicina spiaggia nera. I gommoni che accompagnavano i turisti si facevano strada a fatica nella laguna, e adesso navigano senza difficoltà nell’acqua azzurra. Gli iceberg, pochi e piccoli, si spostano veloci verso il mare, e anche sulla spiaggia nera c’è ben poco.

La convivenza a quattro fila liscia, così liscia che stiamo già progettando altre avventure. Il tipo di viaggio richiede di base il rispetto di una certa organizzazione fatta di tappe, tempi e imprevisti da prevedere, e funziona. Il tempo speso in bagno è ragionevolmente equo, al mattino nessuno fa la muffa in attesa degli altri, e nel resto della giornata nessuno rompe i c. con pretese fuori luogo per il contesto. Sembrano banalità ma alla fine sono queste le cose che ti possono rovinare una vacanza che aspetti da tanto e su cui hai investito tanto. Non ne succede nessuna, e d’altra parte non saremmo qui e insieme se solo uno di noi avesse avuto il sentore che potesse andare diversamente.


Qualche informazione pratica per chi volesse ripetere l’operazione:

Il vento in Islanda è quella cosa che quando ti affittano le auto, ti dicono che se anche paghi l’assicurazione full coverage con zero franchigia, i danni, appunto, da vento non saranno comunque coperti. Lì per lì potresti non dare molto peso a questa informazione, cosa vuoi che sia il segno di qualche sassolino sulla vernice. Alla prima volta che aprendo uno sportello sentirai il braccio staccarsi dalla scapola mentre cerchi di trattenerlo, allora ne comprenderai bene il senso. L’auto l’abbiamo noleggiata con Icerental 4×4, onesti, corretti e a buon prezzo. Abbiamo perso la targa in uno dei guadi e ci hanno addebitato solo 20€.

2000:12 = ~160 km al giorno. Sembrerebbe poco, su strada normale. Ma quando la strada è una pista rocciosa e a tratti sabbiosa, che fatichi anche a trovare, col vento traverso e un paio di guadi con l’acqua a metà sportello, allora ci possono volere anche sei ore per farli. Dotatevi di qualcuno in grado di gestire tutto ciò e fate che road.is diventi il vostro migliore amico, oppure restate sulla Ring Road (Zo, grazie di esistere. E grazie anche a Fra che durante le tappe più lunghe ha apprezzato la mia spiccata propensione a non parlare della qualunque tanto per)

L’isola del ghiaccio e del fuoco è indubbiamente cara, ma si può andare anche senza svenarsi. Prenotare volo e pernottamenti con largo anticipo, ça va sans dire. Di sera abbiamo cucinato spesso (il risotto disidratato di una nota marca italiana è un salvavita soprattutto nei rifugi), e a pranzo soup of the day come se non ci fosse un domani. Superfluo chiedere cosa c’è dentro perché è buonissima ovunque, e praticamente tutti ti danno almeno un paio di refill free. Il camioncino del Mia’s fish & chips vista Skógafoss è l’equivalente del porchettaro fronte cascata delle Marmore. Imbattibile.

Che altro dire, organizzatevi e partite.

“Il fuoco non si e’ spento” – Bull Brigade

P.S.: I Bull Brigade e questo pezzo con le foto ed il racconto c’entrano il giusto, ma una parte consistente della colonna sonora del viaggio proviene dal punk-rock-ska-metal torinese. Subsonica, Fratelli di Soledad, Linea 77, roba così, piu tutto il resto che ascolto abitualmente. Anche su questo ci siamo trovati.

Qui invece c’è la gallery di Lightroom, se qualcuno riuscisse a dirmi se c’è modo di fare l’embed in WordPress, gliene sarò eternamente grata, c’è voluto un tot a riordinarle, taggarle e sistemarle per bene qui dentro, tentando di dargli un senso che vada oltre la posizione dep GPS.

Viaggio al Centro della Terra – Fagradalsfjall


Of Fire and Ice


Aerials (Life is a Waterfall)


La Terra di Mezzo


Only the Brave


A Nord della Barriera


Eastwatch-by-the-Sea


Deadliest Catch


Any Colour You Like


Sette

Sette

Il primo febbraio del 2016 era un lunedì, ed è stato il primo giorno della versione 2.0. Questa foto l’ho scattata quella mattina lì, dalla finestra dell’Airbnb affittato per i primi due mesi, poco prima di uscire per il primo giorno di lavoro.

Restart. Retry. Magari con meno errori. Oppure, più plausibile, con errori diversi. Una possibilità non così scontata quella di spogliarsi propria pelle e di un intero armadio di vestiti ormai troppo stretti. Come la muta di un serpente. Contorcendosi e strofinandosi contro le rocce, i serpenti escono dalla loro vecchia pelle mettendo a nudo quella nuova formatosi al di sotto, ed abbandonando il vecchio strato tutto intero, tutto in un solo colpo.

Persone. Luoghi. Lavoro. Strade. Abitudini. Amicizie. Amori. Un letto nuovo in una casa nuova.

Mi ricordo le sensazioni provate quel giorno, il pomeriggio della domenica quando avevo parcheggiato sotto l’appartamento con due borse formato Ryanair nel portabagagli, quelli successivi quando ho iniziato a guardarmi intorno.

Il dubbio di non essere all’altezza. L’improvviso senso di libertà dopo l’oppressione dell’ultimo periodo. La curiosità di esplorare. La certezza assoluta di dovercela fare da sola. Il senso di precarietà di un tetto non di mia proprietà. Ma mai una volta mi ha sfiorato il pensiero di voler tornare indietro, di aver fatto la scelta sbagliata.

Sette.

Vi risparmio la disamina delle proprietà di questo numero dispari, chi ha voglia ed è nerd abbastanza da sopportarla, può trovarla qui.

A esattamente sette anni di distanza potrei essere ad un altro bivio importante, e ancora per motivi di lavoro. C’è una integrazione in corso che assomiglia molto di più ad una colonizzazione. Mi sento un po’ come dovevano sentirsi gli Aztechi all’arrivo di Cortés, e non mi sta piacendo affatto. Guarda caso, anche questi sono spagnoli, dev’essere una abitudine consolidata per loro. Ma non è ancora il momento di agire, voglio aspettare ancora un po’ e magari qualche cadavere passerà mentre siedo lungo il fiume. Oppure no.

We’ll see.

Per adesso tengo botta.

“Too good for giving up” – Liam Gallagher

Nada Surf

Nada Surf

Ho il passo veloce, ce l’ho da sempre anche se sono piccola. Piccola nel senso che sfioro il metro e cinquantaquattro. Per anni sono stata convinta d’arrivare almeno ai cinquantasette, la delusione è arrivata alla visita medico-sportiva di cinque anni fa. Su queste cifre, anche un centimetro fa differenza. Sarà stato dunque per la mia altezza che il passo s’è adattato, per stare a quello degli altri. Non mi sta dietro neanche il mio compagno che pure è ben più alto di me. Contrasti. Gli uomini mi sono sempre piaciuti alti. Alti e di sostanza, che quelli esili e mingherlini ti rimangono sotto i ferri.

Oggi è il secondo giorno di ferie natalizie anche se sono qui in montagna da più di una settimana, potenza (…) dello smart working. Su queste due parole si potrebbe aprire una parentesi immensa, ma lasciamo perdere. Davanti casa c’è un innaturale prato verde, su in alto una neve che tiene al massimo fino alla mezza. Così mi dicono, io non scio più da quando mi sono fracassata il ginocchio destro cadendo da ferma e fuori pista. Chi scia può immaginare come possono essere andati sia il recupero col toboga che i postumi.

Dunque sono qui, e l’unica cosa che posso fare di giorno è camminare. C’è un bel sole, e ho nelle orecchie un pezzo che mi mette di buonumore e contribuisce al passo. Ha il ritmo giusto. Non ricordo come l’ho scoperto, forse per via di quel surf nel nome del gruppo. Non sono ancora riuscita a surfare un’onda, ma qualche anno fa ho provato a surfare la neve. Finché ero col maestro, tutto bene, curvavo anche discretamente, poi da sola era più il tempo che passavo a terra che in piedi, e ho smesso. Non potevo rischiare di farmi male sul serio e non poter remare o arrampicare, che sono le cose a cui tengo davvero.

Dunque cammino, surfando sui pensieri e sul nulla, col sorriso sulle labbra. O forse è solo nella testa e nel cuore, ma per me basta. 

“Popular” – Nada Surf

Shortcuts

Shortcuts

There are no shortcuts to any place worth going

Una di quelle frasi fatte che incontri surfando nel web, che ti viene il dubbio se sia davvero così oppure no.

Monaco di Baviera, sono le tre di notte del primo venerdì che passo fuori dall’Italia a distanza di due anni e mezzo dall’ultima volta. Stessa città, stessa sede di lavoro, ma nell’incontro di oggi sei persone su nove hanno un incarico identificato da una sigla da tre caratteri. Il mio è sempre uno di quelli scritti a parole, ma l’esser qui oggi è già un risultato. Per arrivarci sono ripassata dal via più di una volta e non m’è mai successo di risparmiare un po’ di strada con una scorciatoia.

Tra meno di novanta giorni tornerò in Islanda anche se mi ero ripromessa di farlo d’inverno, e dunque ci dovrà essere una terza volta in quella che di sicuro è una terra senza shortcut. A Song of Ice and Fire. The Land of Fire and Ice. Un terra che merita ogni chilometro di sterrato percorso prima sulla 4×4 e poi a piedi per arrivare a crateri colorati di sfumature ocra, rosso e marrone. Che merita ogni impronta lasciata coi ramponi sul ghiaccio per potersi guardare intorno e vedere solo quell’assurdo colore azzurro striato di blu e grigio e nero. E si, anche ogni minuto passato a mollo nelle acque calde e opache delle sorgenti geotermiche.

Ci sono strade che avrei voluto percorrere e che a un certo punto ho trovato sbarrate, e ne è rimasto solo un grande what if

Da giovane ero una nerd appassionata di adventure game. I primi erano testuali, digitavi comandi scritti e allo stesso modo ottenevi risposte e descrizioni degli ambienti in cui avanzando ti trovavi. L’avventura era nella tua testa e dovevi ricordarti di salvare ad ogni punto critico per evitare di ritrovarti in un vicolo cieco e dover ricominciare da capo. Poi arrivarono le avventure grafiche della Lucas Art: Loom, Indiana Jones, Monkey Island e il principio che il giocatore non può mai perdere o finire in situazioni senza via d’uscita. Poco dopo ho iniziato ad usare le virtual machines, che in un qualsiasi momento basta fare uno snapshot e ti metti al riparo da ogni possibile cazzata, prevista o imprevista. Una serie di shortcut virtualmente infiniti per spostarti avanti e indietro nel tempo quasi come la DeLorean di Marty McFly.

Tutti concetti deleteri se estrapolati dal contesto e inapplicabili nell’Adventure con la A maiuscola. Se anche ti prendi la briga di fare un backup al primo bivio, non servirà a niente. Non puoi fare una restore e ripartire come se niente fosse o tentare un’altra strada, è tutto un live fino alla fine, e qui succede pure di di ritrovarsi in una strada senza uscita. Game Over.

Io credo di averci giocato anche troppo a quei giochi, e la perfezionista che non ammette sconfitte è ancora lì a chiedersi dove ha sbagliato, qual è stato l’incrocio in cui ha preso la direzione errata, qual è stata la parola di troppo e quella mai uscita perché impigliata tra la testa e il cuore. Quale è stato il momento esatto in cui in cui la barca che galleggiava discreta per la sua rotta ha iniziato a colare a picco.
Ti dicono sempre che quella sbagliata non sei tu, ma non è vero, perché l’errore è proprio quello di sentirsi sempre sbagliati e comportarsi da tali. Perché la posizione giusta è a fianco di qualcuno, non sopra o sotto, non davanti o dietro.

La complanarità è un concetto geometrico estremamente semplice ma è più affine alla logica che all’istinto, e anche adesso che ho iniziato un altro gioco e son riuscita finalmente ad applicarlo, ci son momenti in cui non riesco ad evitare di chiedermi se sono a un check point oppure no, e what if


“L’isola che non c’è” – Edoardo Bennato