01-02-2016/01-02-2022

Curioso come certe date si ripropongano a distanza di tempo, e non so darmi una spiegazione. Coincidenze oppure no.

Il 1 febbraio del 2016 è stato il Day One della mia seconda vita. Scelta sofferta ed inevitabile, dopo il calcio nel culo subito dall’azienda a cui avevo dedicato venticinque anni della mia prima vita.

il 1 febbraio 2022, a sei anni esatti di distanza, nei titoli di apertura dei TG nazionali la notizia del ritorno in mani italiane di quella stessa azienda. L’accordo chiuso nella notte ad Essen, la bandiera italiana sostituita a quella tedesca già al mattino, la parte di insegna “ThyssenKrupp” sparita dall’ingresso.

L’acciaio non è materiale per deboli di cuore. Quando hai avuto a che fare con quei rotoli lucidi, taglienti e pesanti, quando hai toccato con mano come un cassone di rottame si possa trasformare in una serie di Girotondo, è inevitabile che schegge di quello stesso materiale brillante ti rimangano incastrate per sempre nel cuore, come uno di quegli amori chiusi ma mai finiti, che basta svoltare un angolo e ritrovarselo improvvisamente davanti agli occhi o anche solo percepirne l’odore per accorgersi d’aver perso un battito.

Non rimpiango la mia scelta, non potrei in nessun modo, per tanti motivi. Perché non ne avevo di altre, perché quella che sembrava allora una catastrofe è diventata nel tempo una enorme ed imprevedibile opportunità, perché non avrei mai potuto avere quello che ho ora se fossi restata, ma tutto questo non mi impedisce di soffrire ancora per il futuro di chi ha fatto scelte diverse dalla mia.

Ed è ancora tutto troppo fresco, è ancora troppo presto per sapere quali opportunità ci saranno per chi è ancora lì, dentro la fabbrica o in una delle tante piccole ditte che gravitano nella sua orbita.

Se ne riparlerà, ne riparleremo.

“Working Class Hero” – Marianne Faithful

51 e un frigorifero nuovo

51 e un frigorifero nuovo

Nel tardo pomeriggio di oggi la vibrazione dell’iCoso notifica un messaggio: “Come va l’ultimo giorno da 50enne?” Risposta: “Non ho avuto neanche il tempo di pensarci“.(*)

Che poi è stato esattamente così. Uscita alle 7:30 per andare in ufficio, ennemila meeting per gestire l’imminente audit Tisax in Germania, il rumeno che si dimette perché non gli si concede un aumento a dir poco indecente, le interview degli inglesi da assumere, il sopralluogo nella nuova sede in cui avremo si una palestra, bar interno, aree relax ultrafighe ad ogni piano ed un utilissimo studio di registrazione, ma in cui nessuno ha pensato al magazzino per stivare i PC in attesa di essere installati e consegnati. Uno scampolo di relax tra le 21 e le 21:30, seduta a un tavolo bordo Naviglio prima di rientrare per l’ultimo round di smart working. Che tutto è tranne che smart, se per tamponare gli effetti collaterali di un giorno di ferie finisco per lavorare sei ore in più la sera prima. Ogni anno ci raccontiamo che questo è l’ultimo che passiamo così di corsa e così sommersi, e quello dopo ci rendiamo conto che c’è ancora margine per essere ancora più sommersi.

Quando vado al locale qui sotto non c’è neanche bisogno di ordinare, arrivano al tavolo solo per conferma: “Bufala e media alla spina?” “Grazie”. La cena fuori si rende necessaria perché ho il frigo rotto dal 13 luglio e il referto del tecnico convocato per la riparazione è stato chiaro e conciso: “Signora, il guasto è nel motore e ripararlo non conviene”. Sul Signora avrei già avuto da ridire, ma il dover spendere cinquanta euro per tre minuti passati a fare il rabdomante del rumore con la testa infilata tra i ripiani me l’hanno fatto passare in secondo piano.

Sono anche ragionevolmente convinta che ci sia una legge di Murphy che sancisce il diritto/dovere di un elettrodomestico di rompersi irreparabilmente pochi mesi dopo la scadenza della garanzia, con la clausola addizionale che se è un frigorifero dovrà accadere d’estate e se è una caldaia succederà d’inverno.

Ne segue una fittissima ricerca online che incrociando dati di dimensioni/modello/consumi/affidabilità/centri di assistenza/costo/smaltimento RAEE/disponibilità immediata/consegna al piano (quarto e senza ascensore), mi porta a scegliere il fattoapposta per me con poco spazio per il day by day, molto per le bottiglie e un congelatore di dimensioni generose in cui stipare scorte per quando ci invaderanno gli alieni e i vaccinati col 5G. E in attesa che ciò accada, lo userò per produrre ghiaccio sufficiente ad affogare di GT tutto il condomino.

Consegna mercoledì 28 luglio, tra le 9 e le 17. Che vabbeh che ero già in ferie e tornava comodo, ma non era esattamente ciò che avevo in programma. Speriamo almeno che non arrivino mentre mi guardo l’Italia del basket.

(*) Nel frattempo, comunque, ho smesso di lavorare ma continuo a non pensarci. E non credo inizierò neanche quando tra qualche minuto avrò spento il pc per spalmarmi in diagonale sul letto. Curioso che da qualche anno a questa parte i primi auguri a mezzanotte in punto arrivino da chi per tanti anni i compleanni li ha considerati eventi quasi fastidiosi. Don’t look back in anger. Never.

One week ago (Sempre bello bere un bicchiere assieme – II)

One week ago (Sempre bello bere un bicchiere assieme – II)

L’ultima volta era stata qui a Milano nel 2018, una sera di novembre. Come sempre, scarsissimo preavviso da parte sua, ma si sa che non mi formalizzo per queste cose, sono quella che puoi suonare al citofono anche di notte se vedi la luce accesa passeggiando sul Naviglio. Stavolta quella di passaggio ero io, una giornata di lavoro nella dépendance torinese dell’azienda, e va da se che il minimo che potessi fare era ricambiare la cortesia e fare un fischio all’uomo che non cerca scuse e non deve spiegazioni.

Esco dal lavoro sotto la pioggia, il che mi sfastidia non poco date le attuali normative anticovid e il vestito che ho addosso, e temo già di dover sorseggiare un bicchiere di corsa riparati sotto un cornicione e poi via, ma dura giusto il tempo di seguire le istruzioni di google maps e parcheggiare a cento metri dalla destinazione, di fronte ad un murales che si merita più di uno scatto. Da quando ho la OM-D, la porto quasi sempre con me.

Il posto è una birreria di quartiere ben fornita e al di fuori dei circuiti fighetti, poche panche lungo la via, ad accompagnare i liquidi una scelta di panini che definirei illegale. Il posto giusto. Arrivo puntuale ma lo trovo già lì ad aspettare, uguale all’ultima volta che ci siamo visti. Due anni e mezzo alla nostra età contano quanto mezza giornata di un quindicenne.

Ordiniamo il primo giro e parliamo un po’ di noi, del lavoro che mi hanno offerto proprio lì a Torino e che ho gentilmente rifiutato, e di quello che continuerò a fare nonostante tutti i casini e le difficoltà. Si sa anche questo, se non fatico per guadagnarmi qualcosa, non son contenta. E poi, come faccio a mollare proprio adesso quel gruppo di scappati di casa che sembrano aver finalmente trovato un’anima e la voglia di lavorare insieme? Parliamo anche di basket, delle conoscenze più o meno comuni nel mondo virtuale che entrambi frequentiamo e di quello più vero a pochi passi dalla birreria. Scopro che siamo in un paese dentro la città, dove l’arte è appesa alle facciate delle case. Siamo al centro del MAU, il Museo di Arte Urbana.

Ci lasciamo dopo due birre inframmezzate da uno di quei panini illegali, magari ci si rivedrà al prossimo passaggio, di qui o di lì. Prima di rientrare, inseguo per un po’ l’arte attaccata i muri. Here is the result.

P.S.: Mi auguro che il sottobicchiere l’abbiate notato (e capito) tutti. Cheers.

“Love Will Tear Us Apart” – Joy Division

4 is the new 7

Son due giorni che c’è nebbia. Poca e solo in certi orari, a dire il vero, e molto meno di quella che vorrei vedere. Sentire. Mi piace, è come un alito fresco sulla pelle. Come un filtro che smorza la bruttezza al di là dell’obiettivo. Come quando ti svegli con gli occhi appannati e le orecchie ovattate, e non hai ancora la percezione del troiaio in cui ti infilerai un attimo dopo aver poggiato i piedi a terra e preso in mano il telefono.

La vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.

Non sbagliava, la madre di FG. Fisso in agenda appuntamenti con me stessa e arrivo in ritardo. Faccio programmi che non riesco a rispettare. Tipo smettere di lavorare non dico alle sei, ma almeno alle nove, sarebbe già un risultato. Tipo leggere almeno venti pagine al giorno, e non riesco neanche ad aprire il libro. Tipo muovere non solo le dita delle mani ma anche tutto il resto del corpo.

Ci avevano fatto credere che avremmo potuto risalire in barca, non solo fisicamente, ma è durata poco. Troppo poco. Il mio ufficio si tiene con gli elastici, la metà degli italiani e 3/4 dei tedeschi sono in quarantena, uno ha gli attacchi di panico, uno è in ospedale trattato con l’ossigeno a una settimana dalla pensione. UK in lockdown, giusto un attimo prima di noi. I rumeni tengono botta, a quanto pare sono i più resistenti. Tappo i buchi come posso, per quello che ieri avrei risolto con una trasferta, oggi è rimasta l’imposizione delle mani, a distanza.

Il sollievo dei mesi estivi è svanito, i sei gradi di separazione si sono azzerati.  Se prima non conoscevo nessuno neanche tra gli amici degli amici, adesso sento il fiato sul collo. Non smetto di dire che in tutto questo disastro, noi siamo quelli fortunati. Quelli che campano di smart working e digital transformation, quelli che il lavoro non gli è mai mancato, anzi, semmai aumentato, mentre c’è chi la cassa integrazione è un miraggio. Non smetto di dire neanche che mentre passavamo l’estate a drogarci di pillole di finta normalità, quelli che abitano la stanza dei bottoni avrebbero dovuto almeno provare a prevenirla ed arginarla questa seconda ondata, e invece si sono presentati all’esame di riparazione come l’ultimo degli scaldabanchi. Non me ne capacito.

Continuiamo ad assimilare parole insolite, dopo aver riesumato assembramenti e importato lockdown, è l’ora dell’infodemia. Ci adattiamo ai DPCM come camaleonti, quando la chiusura dei locali si sposta alle 18, l’aperitivo diventa merenda, quando si sopprimono le feste, qualcuno comincia ad organizzarle neanche tanto  clandestinamente tramite Instagram, e chissà se il 1930 e gli altri speakeasy sono chiusi.

Io guardo Caccia a Ottobre Rosso in onore di Sean, cuocio castagne nel camino, faccio aperitivo con le M su uozzap e aspetto il prossimo DPCM. Me lo immagino più o meno così:

“Blurry” – Puddle Of Mudd

Who are you? (Fifty shades of me, ma anche meno)

Who are you? (Fifty shades of me, ma anche meno)

Questo è un post difficile da scrivere, ma non per la cifra tonda che mi pende in testa, quella neanche la considero. E’ difficile perché ci sono tante cose che vorrei raccontare, ma il tempo e la stanchezza e i pensieri che si aggrovigliano e si incastrano. Ho sempre lavorato tanto, ma fino a un anno fa ero responsabile solo di me stessa e del mio rendimento. Dover rispondere anche per altri che nemmeno puoi vedere, non è la stessa cosa. E il Covid non ha aiutato, sono passata dalle 9/10 ore con pausa pranzo da Woodstock a mettere le cuffie insieme agli slip e tenerle su anche per cucinare, sintonizzandomi su tre fusi orari diversi. A volte rispondo distrattamente in inglese anche a chi mi parla in italiano. Stanchezza mentale più che fisica, quella che impedisce di aprire un libro quando torno a casa o di scrivere qui dentro quanto vorrei. Lo strumento più tecnologico che uso di sera è la lavatrice.

Come ci si sente a cinquant’anni? L’ho già sentita diverse volte in questi giorni. Come ci si dovrebbe sentire? Boh, mo’ ci penso, dovrei rispondere. Fingere una riflessione profonda, lo sguardo concentrato in una messa a fuoco a 1.2, sopracciglia aggrottate e labbra col broncio, come se lo stessi facendo davvero. Raramente sorrido quando penso qualcosa, pure se è piacevole; sembra più che stia cercando di risolvere una complicata equazione logaritmica da cui dipendono le sorti del mondo, e io i logaritmi non li ho mai digeriti.
Non c’è bisogno di pensarci. Non so come dovrei sentirmi ma so che sto bene, e che se anche avessi una DeLorean parcheggiata qui sotto, non la userei per tornare a trent’anni fa. Magari una puntatina in tempi recenti, qualche sliding door per togliermi il dubbio del se avessi fatto in un altro modo, se avessi dato una risposta diversa.

A vent’anni ero un prototipo di me che iniziava a far bene da sola, ma si lasciava influenzare quando c’erano di mezzo altri. Fino ai quaranta ho preso molte decisioni sulla base di desideri non miei convinta che lo fossero, sbirciando le reazioni per capire se ero sulla strada giusta. Ci è voluto un po’ per capire quale fosse la mia, ma neanche qui userei la DeLorean per tornare a cambiare qualcosa.

L’ho già detto che tutto il passato serve a costruire, vero? Smussare, affilare, scartare, aggiungere, sottrarre, affondare, portare in superficie, ammorbidire, scolpire, scoprire. L’affinità si forma per differenza, due mezze mele si scivoleranno ineluttabilmente addosso, i pezzi di un puzzle tutti diversi formeranno un incastro perfetto. Ci ho messo un po’ a capire anche questo.

Al corso di reportage ho imparato che quello del Photo Editor è un mestiere difficile perché ti porta a sacrificare le immagini più belle se non sono utili a raccontare la tua storia.
La mia oggi è questa.

C’è un cancello un po’ arrugginito che fatica ad aprirsi, basta oliarlo un po’ e non farsi spaventare dalla roccia che si vede dietro

C’è la donna che finge di arrabbiarsi, che non ne sono mai stata capace e se faccio un po’ di training magari prima o poi imparo

C’è il barman di fiducia che puoi trovare aperto qualunque ora, se sai come bussare

C’è un leone e il fuoco, prossimamente su questa pelle. Il mio personale regalo di compleanno.

C’è l’Indiana Jones del barbecue che si intrippa a testare le ricette di bbq4all con la pinza nella destra e un’Ichnusa cruda nella sinistra, alla ricerca di un graal chiamato  bisteccaperfetta e  costinedimaialedaurlo

C’è la secchiona che legge istruzioni, composizione chimica e proprietà di tutte le marche di carbonella e combustibili in vendita al super, per perseguire l’obiettivo di cui sopra

C’è un surfer inside nato nel posto sbagliato, ma magari una decina di secondi su una tavola riuscirà a farli lo stesso, e una maschera con lo snorkel sempre in fondo alla borsa da mare

C’è una testuggine che dormendo ti punta la testa nelle costole fino a spingerti dall’altra parte del letto, per cercare un abbraccio fatto calore e tranquillità

C’è lo studente di scienze inutili che ricorda nozioni tipo il genere di cicale che escono dal terreno ogni 17 anni, e dimentica invece un tot di cose importanti. E non venitemi a dire che “se lo fossero davvero, le ricorderesti”. God save GoogleKeeps e i promemoria dell’iPhone

C’è una serial shopper che prende di mira Victoria’s Secrets e North Face. E la Troika di Fabriano.

C’è il nerd che passa ore in estrazioni, calcoli e vlookup delegabili ad altri, e s’appassiona all’uso di strumenti di marketing mai usati nell’IT

C’è la narcisista convinta d’essere un agglomerato di imperfezioni così perfetto che è impossibile non amarlo, e anche se la storia ha dimostrato che non è proprio così che funziona, lei insiste.

See you soon, magari prima dei cinquantuno

Quando tutto questo sarà passato

Seguo questo blog da tanto tempo, e ogni post, non solo questo, meriterebbe di essere letto e diffuso il più possibile.

Lei è una che ti prende in mano gli occhi e il cuore, e li fa rimbalzare oltre le porte degli ambulatori, del Pronto Soccorso, della rianimazione, e quando tornano indietro non sono più gli stessi.

Grazie e lei e a tutti gli altri che ogni giorno restano nel SSN con tenacia e passione, e dicono le cose come stanno invece di come vorremmo sentirle.

https://nessunodicelibera.wordpress.com/2020/02/26/quando-tutto-questo-sara-passato/

Nessuno dice libera

Mai avrei pensato nella vita di dover, ad un certo punto, affrontare un’emergenza epidemica come quella che si è abbattuta questa settimana in Italia, a causa di Coronavirus.

E’ stato tutto così rapido e concitato che ci vuole un attimo a fare il punto, pur sapendo che i conti veri, quelli epidemiologici e statistici, verranno fatti per bene solo alla fine, perché ci sarà una fine, e saranno sicuramente dati molto interessanti.

Noi addetti ai lavori sapevamo che stava per arrivare, eravamo all’erta da tempo, ma quello che, forse, non ci aspettavamo era l’effetto detonante che questo arrivo avrebbe provocato sulla popolazione.

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