Da ragazzina leggevo tantissimo, prima e dopo i compiti mi rintanavo nel sottoscala con il libro di turno e restavo lì per ore. I volumoni di fumetti come Io Topolino li ho letteralmente divorati, ma i miei preferiti erano una vecchia antologia della mitologia greca (lettura poco edificante – gli dei dell’Olimpo, non sono famosi per il rigore morale), un libro costruito con quadri di Paul Klee che raccontava il viaggio avventuroso di un marinaio in un paese fantastico, e poi l’Enciclopedia degli Animali, quella di moda negli anni ‘70 che tutti avevamo in casa.
Di quella serie di volumi grandi e pesanti, rilegati in pelle bordeaux, ero davvero innamorata, e mi perdevo tra le pagine guardando fotografie di animali esotici, curiosi, maestosi e a volte feroci, così lontani che mai avrei pensato di poterli osservare nel loro habitat naturale.
E invece succede che l’idea stavolta parte da una casa sulle colline torinesi, ma sempre intorno ad una tavola apparecchiata. Pare che parlar di viaggi ci riesca meglio a stomaco pieno e gomito alzato. Botswana. La prima reazione è di sorpresa per una destinazione del tutto inaspettata, la seconda un rapido calcolo di quanto tempo resterò fuori dai radar, la terza un sorriso Mentadent al pensiero che quelle pagine tanto sfogliate si trasformeranno presto in un live 3D e ben più di 4K.
Qualche minuto per assimilare il concetto e poi via con l’organizzazione. Nei parchi del Botswana si può andare in due modi: o ti vendi un rene per pagare un viaggio superorganizzato che ti faccia atterrare direttamente in una delle strip all’interno del parco, dormire in un campeggio mobile a 5 stelle tipo La mia Africa e vedere gli animali con un driver che t’accompagna passo passo tipo personal shopper nel Quadrilatero dei Felini, oppure vai con qualcuno che sia davvero bravo nell’offroad e ti sbatti per organizzare tutto da solo.
Noi siamo gli MVP del fai da te, abbiamo chi sa guidare su qualunque terreno e condizione e vogliamo viaggiare con un pick-up attrezzato per il campeggio mobile con le tende montate sopra. Per me già solo l’idea è una figata. Il mio compagno ci mette un po’ a digerire il fatto che dovrà dormire per dieci giorni su un tavolaccio leggermente ammortizzato, ma alla fine l’esperienza che faremo e ciò che andremo a vedere hanno la meglio.
Il mio amico Mau che l’Africa la conosce più che bene mi procura un contatto affidabile per affittare il pick-up in Sud Africa, e da lì si comincia ad organizzare. Volo su Johannesburg via Londra (di questo scalo se ne riparlerà), e i soliti foglio excel/Google MyMaps che man mano si popola di tappe, chilometri, indirizzi e numeri di telefono.
Prenotiamo un Toyota Hilux col cassone chiuso e riempito di una fornitissima attrezzatura da campeggio più tutta una serie di attrezzi utili nel caso dovessimo restare insabbiati o in panne a millemila miglia di distanza dal più vicino centro abitato. L’ipotesi non è così remota, e se in Islanda l’offroad è stato limitato ad un paio di destinazioni, qui non sarà lo stesso. Ci si aspetta sabbia, tanta sabbia. L’Hilux ultimo modello diventerà poi un Ford Ranger con diverse stagioni alle spalle, e a posteriori devo dire che il cambio ci ha aiutato a far passare inosservati i postumi sulla carrozzeria di tutti i passaggi tra i rovi del bush.
Il nostro organizzatissimo planning prevede per il primo giorno l’arrivo a JNB alle 9 del mattino, il ritiro del pick-up e le cinque ore necessarie per varcare il confine a Martin’s Drift, l’unico aperto fino alle 22. È scritto ovunque di evitare di viaggiare di notte onde evitare spiacevoli incontri con animali di stazza importante, e ci stiamo dentro con tutta la contingency. Peccato che il volo da Milano partirà tardissimo causa temporale, lo scalo a Londra si farà letteralmente di corsa tra i corridoi di Heathrow rischiando di lasciare la Fra nelle grinfie degli addetti ai controlli, e all’atteraggio a JNB scopriremo che i nostri bagagli sono rimasti a Londra. Li recupereremo tre giorni e 1.200 km dopo all’aeroporto di Maun.
Ci vuole un tot di tempo in più per compilare tutte le scartoffie con l’addetto della British Airways e ritirare il pick-up dopo la pausa pranzo degli operatori, ma alla fine arriviamo liscissimi alle 21:30 al border post, attraversiamo e dormiamo al motel appena dopo come previsto. Al mattino, veloce shopping di sopravvivenza (generi alimentari, mutande e calzini) e si parte davvero.
Il Khama Rhino Sanctuary è un’area protetta del Kalahari dedicata ai rinoceronti. L’enorme maschio bianco che riposa tranquillo mentre gli passiamo a pochi metri di distanza è qualcosa di meraviglioso, e altri ne vedremo. Kubu Island è una magica isola di granito che emerge da un lago salato prosciugatosi diecimila anni fa. I sedicimila km2 di saline che restano somigliano ad un paesaggio lunare senza confini. Il delta dell’Okawango è un’intricata e mutevole griglia di canali, lagune ed isole popolati da ippopotami e coccodrilli, in cui addentrarsi solo con qualcuno che li conosca come le sue tasche.
Il parco del Chobe è la nostra meta principale, è li che incontreremo, liberi nella savana, quasi tutti gli animali della mia enciclopedia. Giraffe, zebre, facoceri e impala ti osservano pronti alla fuga, cercando di valutare se puoi essere un pericolo. Ai branchi di elefanti è bene non avvicinarsi troppo, e pure le mamme col piccolo a fianco sono sempre pronte a caricare. Se ne vedi una sulla tua pista, torna un po’ indietro, spegni l’auto e mettiti comodo in attesa che decida autonomamente di sgomberare. Bufali e gnu ti fissano negli occhi sostenendo il tuo sguardo, consci della propria velocità, stazza, corna e pure della potenza esponenziale del branco. L’ippopotamo non è il dolce Pippo blu della Lines ma un camioncino da tre tonnellate che potrebbe piombarti addosso a 50 km/h, e un lago che ne è pieno con teste e occhi che spuntano dall’acqua come tanti iceberg marroni fa un certo effetto. Solo il leopardo si nasconde solitario dentro un cespuglio aspettando pazientemente che decidiamo di andarcene, salvo poi scappare a rintanarsi sui rami di un albero, evidentemente sfastidiato per i quattro intrusi che lo guardano con un sorriso ebete dai finestrini semiaperti. In ogni caso, vale sempre la pena ricordare che il Chobe non è uno zoo, loro sono i padroni di casa liberi di andare ovunque, strade comprese, e tu sei l’ospite non invitato.
Le cascate Vittoria sono l’ultimo step di questo viaggio memorabile, con annesso rafting nelle rapide dello Zambesi. Da qui comincia il viaggio di ritorno, alla fine avremo percorso quasi tremila km in dieci giorni.
Consigli non richiesti per chi volesse avventurarsi:
La prenotazione dell pick-up giusto con la con la compagnia giusta è il fulcro di tutta l’organizzazione, e pure filmare l’omino che ti spiega come utilizzare tutti gli attrezzi. Lì per lì pare facile, ma sfido chiunque a ricordare nei dettagli al momento del bisogno cosa era stato detto in un’ora di spiegazioni in inglese.
Il passaggio delle frontiere dei paesi africani meriterebbe un post a sé. E’ tutto piuttosto complicato e con rigide procedure, documentarsi bene. Per entrare in Botswana, bisogna scendere tutti dall’auto e mettere i piedi in una specie di pozzanghera fangosa – disinfettante – stessa cosa si farà con le ruote dell’auto. Procedura lunga (prima le persone poi l’auto), ma abbastanza automatizzata. Non perdere il tagliandino dell’auto che servirà al ritorno. Tutt’altra cosa verso lo Zimbabwe, dove un simpatico omino ti raggruppa a multipli di tre, e se sei solo non puoi passare finché non arriva qualcuno a completare il tuo gruppo. Scopriremo poi che le pagine del registro, da compilare rigorosamente a mano, prevedono tre persone a pagina, ed ogni pagina viene archiviata appena completata.
Dormire nella savana, con la sola compagnia del fuoco acceso è un’esperienza indescrivibile. Una quantità di stelle mai viste. Ogni piazzola ha il suo barbecue, la legna da raccattare in giro non manca, e la cena a base di arrosticini vista tramonto africano non ha prezzo. Aprire e chiudere le tende sopra il pick-up ad ogni sosta il primo giorno sembra complicato, ma le spiegazioni sono state esaustive e la mia esperienze di boulder s’è dimostrata utile per le manovre in quota. Ai versi degli animali durante la notte ci si abitua presto, ai rumori intorno all’auto che non sai di cosa potrebbero essere, un po’ meno, ma fa parte del pacchetto. Prendere o lasciare. Io prenderei di nuovo tutto, e magari la prossima volta riesco a vedere pure i leoni.
“Africa” – Toto
Serowe – Khama Rhino Sanctuary





Kubu Island










Maun – Okawango Delta -Kwai













Chobe National Park


























Zimbabwe – Victoria Falls




















































































































