After Diversamente Intelligente

Alle liste, agli elenchi da leggere e da scrivere non so resistere. Da piccola aprivo a caso lo striminzito elenco telefonico della mia città alla ricerca di nomi strani, invidiosa de tomi divisi per lettere degli amici romani che Treccani, scansati. Al cimitero sbirciavo le scritte sulle lapidi delle guerre per cercare i più vecchi di nascita, lo stesso macabro vizio l’ho ritrovato nel professore di italiano delle superiori che il lunedì ci aggiornava sulle new entry. La lista della spesa la scrivo su carta e la spunto al super con strappetti orizzontali sul margine sinistro.

Ma mi piacciono soprattutto quegli elenchi con cui fare outing senza ritegno sulla qualunque, dall’amore secretato per il ripetente del terzo banco all’orario preferito per chiudersi in pace al cesso. Dunque quando ho letto il post di Diamanta ci ho provato a resistere, davvero. Un giorno. Due. Poi ho scritto la mia versione.

A come Acqua. Tuffarmi, immergermi, scivolarci sopra. Guardarla con qualcuno accanto che capisce senza far domande. Se non capisce, sostituirlo con una Ichnusa Cruda molto fredda, le vendono qualche metro indietro.

B come Baci. Non c’è niente di più intimo, neanche il sesso.

C come Cucinare. Perché mi rilassa, perché sono curiosa, perché gli A.Y.C.E. possono chiudere anche tutti, per prendermi cura di me e delle persone per cui lo faccio, perché mangiare e nutrirsi son due concetti diversi, e io mangio.

D come la Donna che sono diventata. Il carattere non è cambiato ma è addolcito e un po’ smussato, e per la prima volta mi piaccio tutta, dentro e fuori. Con i miei gusti, le mie convinzioni, gli spigoli, le rughe intorno agli occhi, la pelle non più liscia e perfetta.

E come Estate. Il caldo afoso, le spiagge isolate, la vela, le nuotate in mare, i vestiti leggeri, i sandali col tacco, lo smalto colorato, il bicchiere del cocktail poggiato in fronte, le gocce di sudore che scivolano lungo la schiena.

F come Fotografia. Ça va sans dire.

G come Guardare. Le persone che mi interessano e quelle che amo, le guardo, ne osservo i dettagli, i movimenti, il modo in cui occupano lo spazio. Ci parlo guardandole negli occhi, dentro gli occhi. Per qualcuno è imbarazzante.

H come Home che non è come House. Home è il posto in cui tornare e da cui non sento il bisogno di uscire pochi minuti dopo. Quello che nel tempo assume le mie forme, acquista il mio odore, che parla di me senza dire una parola.

I come Inverno, ne ho bisogno tanto quanto dell’estate. L’aria fredda sulle guance arrossate, le prime brine, neve, ghiaccio, nebbia, i maglioni di lana, i ramponi che hanno sostituito gli sci, il punch al rum, il camino acceso, nascondere la testa sotto il piumone. D’estate spendo la sua ricarica, fanculo le stagioni inutili.

L come Libri da sfogliare, allineare, riaprire, guardare. Questione di sensi. I libri di carta sono vivi, nascono con l’odore di inchiostro e carta tiepida e invecchiano con me. Una volta ci tenevo che fossero nuovi e perfetti, ora la prima scelta è tra gli usati, che l’esser stati letti da altri è come un valore in più.

è tanta roba, del Mare e della Montagna ho già detto, son come due facce dello stesso posto da trattare con lo stesso rispetto. E poi Milano, la Musica, le M, Me.

N come Notte. From Dusk till Dawn, le mie ore sono quelle. Il buio, le mezze luci, i riflessi, i dettagli, i visi seminascosti dalle ombre, i colori prosciugati e riversati in uno scatto. Le parole scorrono libere e allegre, i bicchieri si svuotano più velocemente, le mani si trovano, i corpi si accolgono. Al mattino sono uno zombie, uno zombie felice.

O come Olfatto. Dei cinque sensi è quello che mi regala le sensazioni più immediate e involontarie. Tempie-schiena-stomaco-ventre in un nanosecondo.

P come Pane, Pasta, Parmigiana, Patate, Pizza, Pink Floyd, Pearl Jam, Police, Pratt, Pazienza, Puerto Escondido.  Qualcuno ha detto che le cose belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare. E spesso iniziano per P, aggiungo io.

Q come Quadratura. Quella che cerco nelle cose e nelle persone, quella che è matematicamente impossibile da ottenere.

S come Sogni. “Sognate. Se non sapete sognare, siete morti.” (Jim Valvano, allenatore della North Carolina State University)

T come i Trip per le robe più improbabili, dai fuochi fatui durati un inverno come decoupage, craquelé, punto croce, modellismo navale, piante carnivore e lingue esotiche, a quelli che si ripropongono ciclicamente come la musica islandese o la maglia ai ferri. Fattor comune è il dotarmi ogni volta di materiale di livello semiprofessionale e/o libri e manuali da studiare neanche fosse la professione del futuro.

V come Victoria’s. Ognuno ha le sue debolezze, i suoi segreti.

Z come Zaino. I viaggi dei miei sogni, quelli fatti e quelli ancora nella wishlist, son tutti con lo zaino sulle spalle riempito del minimo indispensabile, almeno alla partenza. Il contenuto al rientro è sempre ampiamente discutibile e molto meno essenziale.

Lui è Heiðar Logi Elíasson, ed è il primo surfista islandese, l’integrale del trailer l’ho visto all’Ocean Film Festival. Splendido.

Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town

“Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town” – Pearl Jam

I seem to recognize your face
Haunting, familiar yet, I can’t seem to place it
Cannot find the candle of thought to light your name
Lifetimes are catching up with me

All these changes taking place
I wish I’d seen the place
But no one’s ever taken me

Hearts and thoughts they fade, fade away
Hearts and thoughts they fade, fade away

I swear, I recognize your breath
Memories like fingerprints are slowly raising
Me, you wouldn’t recall for I’m not my former
It’s hard when you’re stuck upon the shelf

I changed by not changing at all
Small town predicts my fate
Perhaps that’s what no one wants to see
I just want to scream hello

Well, my God it’s been too long
Never dreamed You’d return
But now here You are and here I am

Hearts and thoughts they fade away

Hearts and thoughts they fade, fade away
Hearts and thoughts they fade, fade away
Hearts and thoughts they fade away
Hearts and thoughts they fade, fade away
Fade away, fade away

MMHS


Weekend a Firenze Rocks, Samuel/Eddie Vedder e Prophets of Rage/System of a Down con Caronte che è fuoco incendiario come da previsioni meteo, le più azzeccate degli ultimi vent’anni. La prima sera scivola via tranquilla, la seconda si annuncia dalla nuvola rossastra che avvolge l’ippodromo già dal pomeriggio. La polvere sollevata da centomila piedi che si muovono s’appiccica alla pelle e incrosta i polmoni tra un pogo spontaneo e uno istigato dal palco, braccia e schiene sudate che inevitabilmente entrano in contatto. C’è più intimità qui tra sconosciuti che in tante camere da letto.
Ne usciamo sporche, stanche e con le schiene spezzate che insomma, i cinquanta iniziamo a intravederli e non siamo più abituate a questi tour de force.
Ma.
Ma Samuel dei Subsonica invece dei Cranberries è stata una sorpresa inaspettata, per me e anche per lui che aveva il biglietto da spettatore.
Ma Eddie Vedder attacca con Elderly Woman e passa per Wishlist, I am mine, Unthought Known e Society. Le cover di Brain Damage, Comfortably Numb e Rockin’ in the Free World. E Black per Chris Cornell, cantata all’unisono da tutti, brividi lungo la schiena nonostante i quaranta gradi intorno.
Ma i Prophets of Rage li aspettavo curiosa, che se metti insieme pezzi dei Rage Against the Machine e dei Public Enemy, qualcosa di bello ne deve uscire per forza. Che i piedi, le mani e tutto il resto del corpo si muovono da soli a partire dall’attacco di Prophets of Rage fino a Bullet in the Head e Killing in the Name. E Like a Stone degli Audioslave cantata con Serj Tankian, altro brivido.
Ma si che ne è valsa la pena di inghiottire tutta la polvere per i SOAD e B.Y.O.B., Lonely Day, Aerials e Toxicity.
Ma di foto non ce n’è praticamente nessuna a parte un paio di “souvenir”, che i concerti me li sono goduti con gli occhi e con le orecchie.
Ma ho comprato le magliette del tour.
Ma figa, erano anni che non mi divertivo così tanto.
Ma già che c’eravamo, ci siamo fatte anche i Depeche Mode a Milano ieri sera, che ci siamo cresciute insieme e mica è colpa nostra se l’hanno messi tutti così appiccicati.

Quasi cinque giorni con un’inedita combinazione di M, H ed S, e niente, l’ultima se n’è andata a mezzogiorno e già mi mancano.
E adesso, con la pioggia scrosciante là fuori, avrei bisogno solo di questo. Questo e poco altro.

“Just Breathe” – Pearl Jam

Nothing as it seems 

Niente è mai come sembra, mai.

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“Nothing As It Seems” – Pearl Jam

Night #1

Faceva freddo. Ma era una di quella sere che come fai a stare in casa. Lavorato venerdì mattina, poi ancora da metà pomeriggio fino a notte inoltrata, e poi ancora tutto il giorno fino a sera. Quando c’è da fare con l’energia elettrica, raramente fila tutto liscio, si contano sempre vittime sul campo. Conto salato, ‘sto giro.

Quindi avevo bisogno di aria, e l’ho trovata. Fresca. Fredda. Pungente. Con la nuvoletta bianca del respiro. Guance rosse, calde e gelide allo stesso tempo. Occhi stretti e lucidi. Ginocchia che scricchiolano alle prime pedalate. Veloce nel parco e in strada, lenta tra la gente. Avevo sperato ci fosse anche lei, ma è sfuggente e si fa vedere solo quando vuole, il tempo di passare da casa e s’era già dileguata, lasciando solo quella patina lucida che potresti confondere con un po’ di pioggia appena caduta.

Soliti percorsi larghi del pomeriggio, ma di notte son più belli. Mi piace fermarmi agli angoli e guardare le persone, anche loro son diverse la notte. Dita dei piedi prossime al congelamento, anca destra dolorante a ricordare che c’hai una certa. Sedici chilometri e tre ore passate senza guardare l’orologio. In altri tempi non sarei neanche uscita con questa temperatura, ma è qualche anno che ho iniziato ad apprezzare l’inverno. Come tante altre cose che non avevo mai assaggiato. Come le olive, le cipolle e gli spinaci. Bisognava solo farci amicizia.

“Alive” – Pearl Jam

Little Wing

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“Little Wing” – Pearl Jam (Cover)

Well, she’s walking through the clouds,
With a circus mind that’s running wild,
Butterflies and Zebras,
And Moonbeams and fairy tales.
That’s all she ever thinks about.
Riding with the wind.

When I’m sad, she comes to me,
With a thousand smiles she gives to me free.
It’s alright, she says it’s alright,
Take anything you want from me,
Anything.
Fly on little wing.

Fahrenheit 451

Questo post lo avevo scritto di là ma ho pensato che poteva stare benissimo anche qui.

Burn

“Nothing As It Seems” – Pearl Jam

Domenica pomeriggio ho acceso il camino e mi sono rintanata in casa, ogni tanto ho bisogno di un po’ di tranquillità. Avevo voglia di un libro, e me ne è tornato in mente uno letto tanto tempo fa, Fahrenheit 451. L’ho sfogliato alla ricerca di un paio di tratti in cui avevo messo un segnalibro, poi ho ricominciato dall’inizio. Pur se scritto nel ’53, è quantomai pertinente al momento storico. C’è anche un po’ di me qui, ma non è per questo che vale la pena leggerlo.

Vale la pena perché è veramente bello.

«Sono un temperamento asociale, dicono. Non mi mescolo con gli altri. Ed è strano, perché io sono piena di senso sociale, invece. Tutto dipende da che cosa s’intenda per senso sociale, non vi sembra? Per me significa parlare con voi di cose come queste.» Si mise a far suonare delle noci cadute dall’albero del giardino davanti alla casa.
«O anche parlare di quanto è strano questo mondo. Stare con la gente è una cosa bellissima. Ma non mi sembra sociale riunire un mucchio di gente, per poi non lasciarla parlare, non sembra anche a voi? Un’ora di lezione davanti alla TV, un’ora di pallacanestro, o di baseball o di podismo, un’altra ora di storia riassunta o di riproduzione di quadri celebri e poi ancora sport, ma, capite, non si fanno domande, o almeno quasi nessuno le fa; loro hanno già le risposte pronte, su misura, e ve le sparano contro in rapida successione, bang, bang, bang, e intanto noi stiamo sedute là per più di quattr’ore di lezione con proiezioni. Tutto ciò per me non è sociale. E’ tutt’acqua rovesciata a torrenti, risciaquatura, è, mentre loro ci dicono che è vino quando non lo è. Ci riducono in condizioni così pietose, quando viene la sera, che non possiamo fare altro che andarcene a letto o rifugiarci in qualche Parco di divertimenti a canzonare o provocare la gente, a spaccare i vetri nel Padiglione degli spaccavetri o a scassare automobili, nel Recinto degli scassamacchine, con la grossa sfera d’acciaio. O non ci resta che salire in macchina e correre pazzamente per le strade, cercando di vedere quanto da vicino si possano sfiorare i lampioni e quanto strette si possono fare le curve, magari sulle due ruote laterali. Può darsi benissimo che io sia proprio quello che dicono, d’accordo. Non ho amici, io. E questo dovrebbe provare che sono anormale. Ma tutte le persone che conosco urlano o ballano intorno come impazzite o addirittura si battono a vicenda, selvaggiamente. Avete notato come la gente si faccia del male, di questi tempi?»
«Le vostre parole, come sono antiche!»
«Talvolta, sono antica. Ho paura dei ragazzini della mia età. Si uccidono a vicenda. Credete che sia sempre stato così? Lo zio dice di no. Sei amici miei sono morti d’arma da fuoco da un solo anno a questa parte. Dieci ne sono morti in incidenti automobilistici. Mi fanno paura e loro non mi hanno in simpatia perché ho paura. Lo zio dice che suo nonno si ricordava del tempo in cui i ragazzi non si ammazzavano a vicenda. Ma tutto ciò avveniva molto tempo fa, quando le cose erano diverse. La gente aveva il senso della responsabilità, dice lo zio. Sapete, io ce l’ho, il senso della responsabilità. Mi prendevano a sculacciate, quando dimostravo di averne bisogno, del senso della responsabilità, anni fa. E faccio la spesa e rigoverno la casa completamente a mano, senza elettrodomestici.»
«Ma soprattutto», riprese, dopo un istante di pausa, «mi piace studiare la gente. Alle volte passo l’intera giornata sulla ferrovia sotterranea, a sentir le persone parlare, a guardarle. Mi piace indovinare chi sia quel tale, che cosa voglia quell’altro, dove vadano. In certe occasioni vado perfino nei Parchi di divertimento o faccio delle corse sulle auto a reazione, quando filano a mezzanotte ai margini della città e la polizia lascia fare, finché sono assicurati. Fino a quando uno abbia diecimila dollari d’assicurazione, tutti sono felici e contenti. Spesso scivolo come un serpente su una vettura della sotterranea a sentire che cosa dicono le persone. O nelle mescite di bibite dolci, e sapete che cosa ho scoperto?»
«Che cosa?»
«Che la gente non dice nulla.»
«Oh, parlerà pure di qualche cosa, la gente!»
«No, vi assicuro. Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice qualcosa di diverso dagli altri. E quasi sempre nei caffè hanno le macchinette d’azzardo in funzione, si raccontano le stesse barzellette, oppure c’è la parete musicale accesa con i disegni a colori che vanno e vengono, ma si tratta soltanto di colore e il disegno è del tutto astratto. E nei musei, ci siete mai stato? Tutta roba astratta. Ecco quello che ci si trova ora, nei musei. Lo zio dice che era differente una volta. Molto tempo fa, non so bene quando, i quadri e la scultura dicevano delle cose precise, mostravano addirittura delle “persone”!»

Collegamenti.

Non si può chiedere alle persone più di quanto non siano in grado di dare.
È qualche giorno che rifletto su questa cosa, farlo vuol dire crearsi delle false aspettative e riporre desideri e speranze nel posto sbagliato, sapendo già che non verranno esauditi e ne resteremo delusi. Poi questa mattina leggo il post di paroledimaru, e vedo che non sono l’unica ad avere certi pensieri… “non si può scavare dove non c’è profondità”.
Mi è tornata in mente una tavola di Andrea Pazienza, un’anima immensa che è stata schiacciata dal suo stesso peso. Lì ce n’era tanta di profondità.

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Spesso non c’è dolo o cattiveria nel comportamento, ma solo superficialità, quindi mancanza di profondità, proprio ciò che ha scritto Maru. E non c’è cattiveria neanche nel giudizio, è solo un dato di fatto e il comportamento conseguente in teoria dovrebbe essere facile, il rapporto è una perdita di tempo e di energie, a prescindere dal fatto che si tratti di amicizia o altro.
In teoria. Qualche volta però mi succede di ritrovarmi faccia a faccia con la materializzazione di questo pensiero, e non sapere che direzione prendere.
È che quando ho a che fare con altre persone mi faccio sempre un sacco di domande.
Se le mie aspettative sono eccessive. Se pretendo troppo da chi ho intorno. Quali sono i cardini e quali i punti a cui non posso rinunciare. Fin dove è giusto spingermi con i compromessi e quanto sono disposta lasciare sul campo. Se quella persona magari è in grado di dare altro, qualcosa che io non mio aspetto. Ed è difficile rispondermi.
La perfezione non esiste, e sarebbe anche noiosa se esistesse, e poi ho sempre avuto una certa predilezione per le imperfezioni, sono nettamente più interessanti, sotto tutti i punti di vista. E piuttosto che dal principe azzurro con la calzamaglia ed il cavallo bianco, potrei ritenermi soddisfatta da un paio di jeans, uno zaino e la metà della mia lista.

“Whishlist” – Pearl Jam

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Force of nature

“Force of Nature” – Pearl Jam

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