The shape of my hearth

Più tempo passa, e più mi rendo conto che il modo migliore per conquistarmi non sono le sdolcinatezze che ho visto in giro nei giorni appena passati, amplificate tra l’altro, dal vivere nella città del Santo.
“Cucciolo mio, mi pensi? Ma quanto mi pensi?” … rabbrividisco al solo pensiero di qualcuno che mi fa domande di questo tipo.
M’è pure successo, qualche tempo fa, e sono fuggita a gambe levate.
La strada per il mio cuore passa inevitabilmente per lo stomaco, per un doppio ordine di motivi.

Primo, perché se un uomo mi emoziona, e mi fa un “certo” effetto, quelle emozioni me le sento tutte nello stomaco, almeno le prime volte. Le classiche farfalle. C’è chi ne parla, e chi come me, se le sente proprio svolazzare lì dentro, a cozzare contro le pareti. Poi col tempo passa, ma se non ci sono, posso anche andare oltre. Fino ad ora, si è dimostrato essere un metro di giudizio infallibile.

Secondo, perché penso che l’approccio che le persone hanno verso il cibo sia lo stesso che hanno verso la vita.
Chi usa il cibo solo per nutrirsi, tende ad avere una vita essenziale, fatta del minimo indispensabile per il sostentamento. Chi bada alla quantità, lo fa a discapito della qualità. Chi invece sa godersi una buona tavola (di qualità, non di quantità), sa godersi anche una buona vita, e i piaceri che offre. Sa scegliere con criterio, assaporando senza fretta e senza trascurare i dettagli.
Meglio quindi presentarsi con un invito a cena piuttosto che con un bigliettino pieno di cuoricini e cuoricioni.

Di conseguenza, credo che il modo migliore di rappresentare il mio cuore sia questo:

P.S.: Casomai aveste ancora qualche dubbio, quella lì è proprio una patata.
Quando se ne consumano dosi consistenti, capita di trovarne di strane forme.

“Shape of My Heart” – Sting

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