When dreams come true /1

When dreams come true /1

Il 20 gennaio del 2015 ho pubblicato nel blog la mia wishlist, l’elenco delle cose che voglio fare prima di diventare troppo decrepita e rincoglionita, e nel tempo l’ho pure rimpinguata. I sogni non finiscono mai, almeno i miei, anche se arrivati a una certa, sarebbe ora di impegnarsi di più a spuntare righe invece che ad aggiungerne.

Quando dunque si è iniziato a parlare delle vacanze di quest’anno, mi sono vista tipo Zio Paperone quando fiuta un affare, solo che i miei occhi, normalmente castani, erano diventati improvvisamente blu. Dei profondissimi buchi blu, come il numero 35 della lista, che è lì da quando ho iniziato ad andare seriamente sott’acqua nel 1998. Ventisei anni sono un bel po’, ma io sono tenace e so aspettare, e alla fine arrivo (quasi) sempre a quello che voglio. Se dipende essenzialmente da me, ça va sans dire.

Guatemala e Belize o Belize e Guatemala? L’ordine non è poi così importante, l’importante è che che in Belize c’è la seconda barriera corallina più grande del mondo, e in mezzo a quella barriera c’è il Great Blue Hole, esplorato per la prima volta da Jacques Cousteau nel ’71. Se si va in Belize, non si può non andare lì. Non posso non andare lì.

Non facevo più immersioni da anni, causa eventi collaterali della mia vita personale più varie ed eventuali che hanno riordinato le priorità, e necessitavo di un refresh. La subacquea è una roba delicata, uno di quegli sport dove non puoi permetterti di star lì a pensare cosa fare, le azioni devono essere naturali ed automatiche, sopra e sotto. Montare l’attrezzatura, controllare la tua bombola e quella del compagno, scendere, compensare, respirare lentamente, mantenere un buon assetto, controllare i parametri, tener d’occhio il compagno, fare attenzione a non sforare la curva e monitorare l’aria, risalire a velocità controllata, sosta di sicurezza, superficie.

Di tutto questo, la sola capacità che temevo di aver perso era l’assetto, che è la caratteristica fondamentale che distingue un buon subacqueo da uno scarso. Il saper restare alla profondità stabilita in maniera composta e con minime variazioni, controllate dal respiro o attraverso GAV per lo stretto indispensabile. La bombola poi è una, più aria si usa per il GAV, meno ce n’è da respirare.

Dunque mi sono messa alla ricerca di un centro SSI a Milano per organizzare la mia rentrée sott’acqua, e da nerd quale sono, ho controllato review, referenze e tutto quello che ho potuto prima di contattare la struttura e andare di persona. Mi ci son trovata subito bene, a pelle, dalla prima volta che sono entrata. Non è un posto per fighetti, l’owner ha all’attivo migliaia di immersioni (una leggenda della subacquea, ma questo l’ho scoperto solo dopo) e conosce il mio vecchio istruttore. Abbiamo parlato un po’ della mia esperienza, di quello che avrei voluto fare e mi ha fatto una proposta che andava oltre i miei programmi. Ci ho pensato giusto un attimo e poi “SI”. Ero entrata per uno Scuba Skills Update di poche ore e un tuffo in mare, e invece un paio di mesi dopo avevo in tasca un brevetto Nitrox EAN40. Nel mezzo sono passate una serie di lezioni sull’utilizzo delle miscele arricchite di ossigeno, appunti, formule, calcoli e proporzioni che mi hanno risvegliato la voglia di imparare.

La teoria l’ho frequentata insieme a due tipi alle prime armi che non potevano essere più diversi: un simpatico brianzolo che in vista della pensione ha deciso di investire tempo e soldi in acque tropicali, attento alle spiegazioni e consapevole della sua (in)esperienza, e un insopportabile sbarbatello che non stava zitto un attimo – datemi il brevetto che io so già tutto e siamo qui a perder tempo. Una di quelle menti eccelse formatesi alla scuola di FacciaLibro, che se mi fosse mai capitato come compagno di immersione in mare, gli avrei chiuso la bombola a 30mt. La pratica l’ho fatta separatamente 1:1 con l’istruttore, e quando in piscina sono tornata a montare l’attrezzatura, i gesti sono arrivati naturali, come se l’avessi riposta la settimana prima.

Poi l’uscita in mare, nell’AMP di Portofino. La registrazione al diving, i pesi – Quanti chili? Quattro dovrebbero bastare, la cintura ho la mia -, la cassa in cui stipare pinne e maschera, monta il GAV e l’octopus sulla bombola prima di caricarla in barca. La mia attrezzatura – ven’tanni sul groppone ma perfettamente conservata e revisionata – si confonde tra le altre, quello che invece mi ha fatto sentire anacronistica è l’unico pezzo nuovo di zecca, una muta umida da 5mm quando tutti gli altri si apprestavano ad infilarsi dentro le stagne. Anche io ho il brevetto per la stagna, e lì per lì ho pensato di aver clamorosamente sbagliato a valutare la temperatura dell’acqua, ma siamo in agosto e si prevedono almeno venti gradi, e io la stagna la usavo da ottobre in poi. Mah.

Primo tuffo alla secca Carega che è da sola un trattato di biologia del Mediterraneo, secondo al Cristo degli Abissi. Nel briefing la guida ci spiega il profilo dell’immersione e cosa andremo a vedere. Per la mia rentrée farò coppia con uno dei divemaster, giusto per star tranquilli. Passo del gigante per entrare in acqua, ci siamo tutti, si scende.
Per cinquanta minuti sarà tutto blu, riesco a compensare senza alcun dolore alle orecchie, scendiamo ai 33 verso la parete di gorgonie rosse e c’è anche tanto pesce: cernie, salpe, dentici, castagnole e un branco di barracuda stanziali. Riesco a mantenere un assetto decoroso ed uscire con un quarto di bombola d’avanzo alla prima immersione, un po’ di più alla seconda.
Obiettivo raggiunto, posso partire tranquilla.

(Comunque la temperatura era perfetta, e riguardo all muta rimango della mia opinione: se ti butti in mare in modo da non sentirlo addosso neanche quando l’acqua è a venti gradi, o hai sbagliato sport oppure fai parte della categoria che si spalma protezioni ipertenologiche ogni tre per due per poi restare tutto il tempo sotto l’ombrellone, attento a non sporcarsi neanche di sabbia)

Il resto alla puntata numero 2.

“The Sea” – Morcheeba

Agenzia Viaggi Z&M – Ísland v.2

Agenzia Viaggi Z&M – Ísland v.2

Milano, un mercoledì di febbraio, settimo piano vista Palazzo della Regione. Sul tavolo, il secondo giro di GT e un tot di salumi e formaggi provenienti da un gioielliere del centro Italia. Intorno, una ternana trapiantata sul Naviglio Grande e due torinesi che spartiscono il tempo tra la capitale degli affari e quella delle auto. Uno è Ste, con cui condivido tranci di vita da qualche anno, l’altro è Zo, suo amico di lungo corso.

Con Zo ci conosciamo da poco ma ci siam capiti subito. Il ghiaccio a cubi grandi e regolari nei bicchieri e quello sulle montagne, le grigliate, una certa propensione per l’on the road e per qualche altra cosa che non si dovrebbe fare. Io poi da sempre lego più facilmente coi maschi che con le femmine, a meno che non siano come me. Forse perché sono un modello essential, forse perché sono cresciuta in mezzo ai metalmeccanici e lo STEM di cui si straparla tanto oggi lo pratico da trentatré anni buoni, forse perché le persone le osservo e le annuso prima ancora di parlarci.

Dunque tra una fetta di spalletta e un tocco di pecorino si parla di viaggi, di mete estive. Zo la butta là: Che ne dite dell’Islanda? Io rispondo senza neanche pensarci. Quando partiamo? Ci sono già stata dieci anni fa, ma tornerei domani mattina. Ste approva. Non è del tutto il suo genere, ma ci sta. E’ il primo vero viaggio che facciamo insieme, il covid ci ha stroncato una settimana a NY con tanto di biglietti già comprati per una partita di basket al Garden, investimento poi recuperato e reinvestito nell’affitto di una casa estiva in Liguria. La Fra ancora non lo sa ma ci starà anche lei, quindi è deciso. Road to Ísland.

Nel giro di pochi giorni prenotiamo volo + auto e buttiamo giù un itinerario su tutta la Hringvegur, più un paio di off road nella regione di Landmannalaugar e nella zona intorno ad Askja. Duemila chilometri in dodici giorni con una Subaru XV, pernottamenti in AirBnb e rifugi, un planning dettagliato giorno per giorno declinato nella versione Excel di Zo e nella mia qui sotto. L’organizzazione la gestiamo noi, cercando di rispettare le seppur minime richieste degli altri due (sistemazioni decenti, almeno una giornata in un posto civile tipo Reykjavík e l’avvistamento dei puffin)

Ogni giorno un colore diverso, con i siti visitati, i posti dove abbiamo dormito, ed i (pochi) locali in cui abbiamo mangiato fuori.
Roba da nerd, as usual, ma magari può essere utile a qualcuno.

Dodici giorni volano veloci, l’Islanda è sempre meravigliosa come me la ricordavo. Ancora mi stupisco di come sia possibile che il paesaggio cambi così radicalmente a perdita d’occhio a distanza di pochi chilometri, a volte di centinaia di metri. La nera e tagliente roccia lavica intorno ai vulcani. Il verde morbido del muschio. Il marrone tinto di zolfo degli altipiani. Il bianco striato di grigio e di azzurro dei ghiacciai, che è sempre la parte che sento di più. Quella che prima o poi mi riporterà qui d’inverno per la versione numero tre. Salgo con Zo sul Sólheimajökull mentre Ste e la Fra ci aspettano al margine dell’area delle escursioni. Di ghiaccio ce n’è visibilmente di meno, arretra al ritmo di 50 metri l’anno, e troviamo invece sabbia e terra che affiorano a tratti. A chi pensa che il climate change sia una un’esagerazione o una invenzione della Greta, suggerirei un giro da queste parti.

2012 vs 2022

Il vero colpo al cuore però me lo da la laguna di Jökulsárlón: dieci anni fa, esattamente nella stessa settimana dell’anno, era una distesa semi solida dove grossi iceberg stazionavano a lungo imprigionati da altro ghiaccio superficiale, per poi affacciarsi lentamente verso il mare o arenarsi sulla vicina spiaggia nera. I gommoni che accompagnavano i turisti si facevano strada a fatica nella laguna, e adesso navigano senza difficoltà nell’acqua azzurra. Gli iceberg, pochi e piccoli, si spostano veloci verso il mare, e anche sulla spiaggia nera c’è ben poco.

La convivenza a quattro fila liscia, così liscia che stiamo già progettando altre avventure. Il tipo di viaggio richiede di base il rispetto di una certa organizzazione fatta di tappe, tempi e imprevisti da prevedere, e funziona. Il tempo speso in bagno è ragionevolmente equo, al mattino nessuno fa la muffa in attesa degli altri, e nel resto della giornata nessuno rompe i c. con pretese fuori luogo per il contesto. Sembrano banalità ma alla fine sono queste le cose che ti possono rovinare una vacanza che aspetti da tanto e su cui hai investito tanto. Non ne succede nessuna, e d’altra parte non saremmo qui e insieme se solo uno di noi avesse avuto il sentore che potesse andare diversamente.


Qualche informazione pratica per chi volesse ripetere l’operazione:

Il vento in Islanda è quella cosa che quando ti affittano le auto, ti dicono che se anche paghi l’assicurazione full coverage con zero franchigia, i danni, appunto, da vento non saranno comunque coperti. Lì per lì potresti non dare molto peso a questa informazione, cosa vuoi che sia il segno di qualche sassolino sulla vernice. Alla prima volta che aprendo uno sportello sentirai il braccio staccarsi dalla scapola mentre cerchi di trattenerlo, allora ne comprenderai bene il senso. L’auto l’abbiamo noleggiata con Icerental 4×4, onesti, corretti e a buon prezzo. Abbiamo perso la targa in uno dei guadi e ci hanno addebitato solo 20€.

2000:12 = ~160 km al giorno. Sembrerebbe poco, su strada normale. Ma quando la strada è una pista rocciosa e a tratti sabbiosa, che fatichi anche a trovare, col vento traverso e un paio di guadi con l’acqua a metà sportello, allora ci possono volere anche sei ore per farli. Dotatevi di qualcuno in grado di gestire tutto ciò e fate che road.is diventi il vostro migliore amico, oppure restate sulla Ring Road (Zo, grazie di esistere. E grazie anche a Fra che durante le tappe più lunghe ha apprezzato la mia spiccata propensione a non parlare della qualunque tanto per)

L’isola del ghiaccio e del fuoco è indubbiamente cara, ma si può andare anche senza svenarsi. Prenotare volo e pernottamenti con largo anticipo, ça va sans dire. Di sera abbiamo cucinato spesso (il risotto disidratato di una nota marca italiana è un salvavita soprattutto nei rifugi), e a pranzo soup of the day come se non ci fosse un domani. Superfluo chiedere cosa c’è dentro perché è buonissima ovunque, e praticamente tutti ti danno almeno un paio di refill free. Il camioncino del Mia’s fish & chips vista Skógafoss è l’equivalente del porchettaro fronte cascata delle Marmore. Imbattibile.

Che altro dire, organizzatevi e partite.

“Il fuoco non si e’ spento” – Bull Brigade

P.S.: I Bull Brigade e questo pezzo con le foto ed il racconto c’entrano il giusto, ma una parte consistente della colonna sonora del viaggio proviene dal punk-rock-ska-metal torinese. Subsonica, Fratelli di Soledad, Linea 77, roba così, piu tutto il resto che ascolto abitualmente. Anche su questo ci siamo trovati.

Qui invece c’è la gallery di Lightroom, se qualcuno riuscisse a dirmi se c’è modo di fare l’embed in WordPress, gliene sarò eternamente grata, c’è voluto un tot a riordinarle, taggarle e sistemarle per bene qui dentro, tentando di dargli un senso che vada oltre la posizione dep GPS.

Viaggio al Centro della Terra – Fagradalsfjall


Of Fire and Ice


Aerials (Life is a Waterfall)


La Terra di Mezzo


Only the Brave


A Nord della Barriera


Eastwatch-by-the-Sea


Deadliest Catch


Any Colour You Like


After Diversamente Intelligente

Alle liste, agli elenchi da leggere e da scrivere non so resistere. Da piccola aprivo a caso lo striminzito elenco telefonico della mia città alla ricerca di nomi strani, invidiosa de tomi divisi per lettere degli amici romani che Treccani, scansati. Al cimitero sbirciavo le scritte sulle lapidi delle guerre per cercare i più vecchi di nascita, lo stesso macabro vizio l’ho ritrovato nel professore di italiano delle superiori che il lunedì ci aggiornava sulle new entry. La lista della spesa la scrivo su carta e la spunto al super con strappetti orizzontali sul margine sinistro.

Ma mi piacciono soprattutto quegli elenchi con cui fare outing senza ritegno sulla qualunque, dall’amore secretato per il ripetente del terzo banco all’orario preferito per chiudersi in pace al cesso. Dunque quando ho letto il post di Diamanta ci ho provato a resistere, davvero. Un giorno. Due. Poi ho scritto la mia versione.

A come Acqua. Tuffarmi, immergermi, scivolarci sopra. Guardarla con qualcuno accanto che capisce senza far domande. Se non capisce, sostituirlo con una Ichnusa Cruda molto fredda, le vendono qualche metro indietro.

B come Baci. Non c’è niente di più intimo, neanche il sesso.

C come Cucinare. Perché mi rilassa, perché sono curiosa, perché gli A.Y.C.E. possono chiudere anche tutti, per prendermi cura di me e delle persone per cui lo faccio, perché mangiare e nutrirsi son due concetti diversi, e io mangio.

D come la Donna che sono diventata. Il carattere non è cambiato ma è addolcito e un po’ smussato, e per la prima volta mi piaccio tutta, dentro e fuori. Con i miei gusti, le mie convinzioni, gli spigoli, le rughe intorno agli occhi, la pelle non più liscia e perfetta.

E come Estate. Il caldo afoso, le spiagge isolate, la vela, le nuotate in mare, i vestiti leggeri, i sandali col tacco, lo smalto colorato, il bicchiere del cocktail poggiato in fronte, le gocce di sudore che scivolano lungo la schiena.

F come Fotografia. Ça va sans dire.

G come Guardare. Le persone che mi interessano e quelle che amo, le guardo, ne osservo i dettagli, i movimenti, il modo in cui occupano lo spazio. Ci parlo guardandole negli occhi, dentro gli occhi. Per qualcuno è imbarazzante.

H come Home che non è come House. Home è il posto in cui tornare e da cui non sento il bisogno di uscire pochi minuti dopo. Quello che nel tempo assume le mie forme, acquista il mio odore, che parla di me senza dire una parola.

I come Inverno, ne ho bisogno tanto quanto dell’estate. L’aria fredda sulle guance arrossate, le prime brine, neve, ghiaccio, nebbia, i maglioni di lana, i ramponi che hanno sostituito gli sci, il punch al rum, il camino acceso, nascondere la testa sotto il piumone. D’estate spendo la sua ricarica, fanculo le stagioni inutili.

L come Libri da sfogliare, allineare, riaprire, guardare. Questione di sensi. I libri di carta sono vivi, nascono con l’odore di inchiostro e carta tiepida e invecchiano con me. Una volta ci tenevo che fossero nuovi e perfetti, ora la prima scelta è tra gli usati, che l’esser stati letti da altri è come un valore in più.

è tanta roba, del Mare e della Montagna ho già detto, son come due facce dello stesso posto da trattare con lo stesso rispetto. E poi Milano, la Musica, le M, Me.

N come Notte. From Dusk till Dawn, le mie ore sono quelle. Il buio, le mezze luci, i riflessi, i dettagli, i visi seminascosti dalle ombre, i colori prosciugati e riversati in uno scatto. Le parole scorrono libere e allegre, i bicchieri si svuotano più velocemente, le mani si trovano, i corpi si accolgono. Al mattino sono uno zombie, uno zombie felice.

O come Olfatto. Dei cinque sensi è quello che mi regala le sensazioni più immediate e involontarie. Tempie-schiena-stomaco-ventre in un nanosecondo.

P come Pane, Pasta, Parmigiana, Patate, Pizza, Pink Floyd, Pearl Jam, Police, Pratt, Pazienza, Puerto Escondido.  Qualcuno ha detto che le cose belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare. E spesso iniziano per P, aggiungo io.

Q come Quadratura. Quella che cerco nelle cose e nelle persone, quella che è matematicamente impossibile da ottenere.

S come Sogni. “Sognate. Se non sapete sognare, siete morti.” (Jim Valvano, allenatore della North Carolina State University)

T come i Trip per le robe più improbabili, dai fuochi fatui durati un inverno come decoupage, craquelé, punto croce, modellismo navale, piante carnivore e lingue esotiche, a quelli che si ripropongono ciclicamente come la musica islandese o la maglia ai ferri. Fattor comune è il dotarmi ogni volta di materiale di livello semiprofessionale e/o libri e manuali da studiare neanche fosse la professione del futuro.

V come Victoria’s. Ognuno ha le sue debolezze, i suoi segreti.

Z come Zaino. I viaggi dei miei sogni, quelli fatti e quelli ancora nella wishlist, son tutti con lo zaino sulle spalle riempito del minimo indispensabile, almeno alla partenza. Il contenuto al rientro è sempre ampiamente discutibile e molto meno essenziale.

Lui è Heiðar Logi Elíasson, ed è il primo surfista islandese, l’integrale del trailer l’ho visto all’Ocean Film Festival. Splendido.

Riflessioni

Ogni promessa è debito… Mortellaro, questo è il tuo blur, urbano e notturno.

“CRX” – Casino Royale

Continua a leggere “Riflessioni”

Mi fido di te

Qualche tempo fa ho pubblicato un post, quello sulla cena al buio cui ho partecipato e che tanto mi ha toccata. A quel post mancava la foto, avevo così voglia condividere l’esperienza che l’ho pubblicato senza, con l’intenzione di aggiungerla in un secondo momento. Pur avendola pensata ed immaginata già poco dopo, c’è voluto un po’ di tempo per scattarla, e finalmente eccola qua.
Un grazie a Marta e Massimiliano per l’aiuto che mi hanno dato e la pazienza che hanno avuto 🙂

“It’s probably me” – Sting/Eric Clapton

Continua a leggere “Mi fido di te”

New year’s day

Alla fine mi sono lasciata prendere da un po’ di buonismo anche io, ed ecco qua i miei auguri a tutti voi. Cosa augurare? Ciò che ognuno di voi desidera di più.
Quello che è appena passato è stato per me un anno di radicali cambiamenti ed ha prodotto una me in versione 2.0, non proprio un’altra persona rispetto a dodici mesi fa, ma quasi. Ho incontrato tante belle persone qui, dalle prime che mi hanno dato fiducia alle ultime che ho conosciuto, da quelle con cui ho rapporti più stretti e sento anche al di fuori di qui a quelle con cui ci si scambia solo qualche timido “like”.
E’ bello essere qui con voi.

“New year’s day” – U2

 
Continua a leggere “New year’s day”

One World

“One world is enough for all of us”

“One World/Love is the seventh wave” – Sting

Continua a leggere “One World”

Here comes the rain again

I want to breathe in the open wind, I want to kiss like lovers do
I want to dive into your ocean, is it raining with you?

“Here comes the rain again” – Eurythmics

Continua a leggere “Here comes the rain again”