“Sei così.
Ti lasci toccare solo da chi ha l’anima più in fiamme della tua.
Gli permetti anche di toccarti il cuore.
Gli permetti tutto.”
Charles Bukowski
“The Great Gig In The Sky” – Pink Floyd
“Tired of lying in the sunshine staying home to watch the rain
You are young and life is long and there is time to kill today
And then one day you find ten years have got behind you
No one told you when to run, you missed the starting gun”
Pink Floyd – “Time”

A volte i pensieri si srotolano da un blog all’altro, un commento si stacca dal primo e diventa un post nuovo da cui ne nasce poi un altro, con un fil rouge che li attraversa tutti. A.Y.C.E., FORSE, e poi questo.
Giorni fa leggevo un articolo di giornale che citava una frase famosa e anche un po’ ovvia di John Lennon: “La vita è quello che ti succede mentre sei impegnato a fare altro”. Quando mi son trovata davanti il tracollo del lavoro e ho deciso di trasferirmi a Milano non è stata solo una relocation fisica, ma ci ho messo un po’ a realizzarlo. A un certo punto mi sono resa conto di avere tra le mani una seconda possibilità per ripartire da zero. Correggere errori. Fare le cose in modo diverso. È un regalo che non capita a tutti di ricevere, e non si può sprecare. Quindi sono presente, non lascio che la vita succeda mentre faccio altro, perché il tempo scorre in una sola direzione. Il tempo è anche il più bel regalo che si può fare a qualcuno, perché è un pezzo di vita che non tornerà mai indietro.
E l’unità di misura del tempo non sono le ore, i minuti o i secondi.
Il tempo si misura in parole, sorrisi, baci, bicchieri, bottiglie, pagine, abbracci, note, racconti, consigli, cene, fotografie, quadri, passi, pedalate, treni, regali, colazioni, chiacchiere, silenzi, carezze, chilometri, confidenze, film, sguardi, risate, gomitate, cesti di popcorn, piatti cucinati, cazzate dette, cazzate fatte.
Il pezzo dei Pink Floyd è scontato già dal titolo, inevitabile, e la musica è universalmente conosciuta a partire dagli orologi in stereo. Ma non è tutto lì.
“Time” – Pink Floyd
Volevo scrivere un post su questa fantastica iniziativa del Ministro Lorenzin, poi stamattina ho letto questo che dice già tutto quel che c’è da dire.
Standing ovation per l’autore.Edit:
Pensavo di non avere niente da aggiungere, ma mi sbagliavo. E’ da ieri che parlo con diverse persone di questo fatto, amici e conoscenti che hanno tutti più o meno le mie stesse idee e un simile punto di vista sulla religione/chiesa. Siccome mi piace confrontarmi anche con chi non la pensa come me, stamattina ho chiesto un’opinione ad un’amica che invece alla chiesa è molto vicina. La risposta è stata, e cito le parole precise, “Non c’è niente di male. Secondo me c’è gente troppo frustrata in giro!”.
Carissima Ministra Beatrice Lorenzin,
ho avuto modo di apprendere dell’iniziativa ideata dal Suo ministero e denominata Fertility Day, fissata per il 22 settembre prossimo.
Sotto lo striscione recante questa locuzione anglofona, in altri paesi del mondo, vengono organizzate manifestazioni e promosse iniziative a sostegno – umano e concreto – di quelle coppie ove uno dei due o entrambi i partner siano infertili e non possano così esaudire il proprio sogno di divenire genitori.
Noto però con sommo stupore che la Sua iniziativa va in un’altra direzione rispetto a quanto sopra, sfruttandone comunque il brand. Converrà con me che è un po’ come se qualcuno mettesse delle bietole smangiucchiatte da delle nutrie nei vasetti di Nutella. Quindi, per prima cosa, sarebbe stato più onesto trovare un nome originale e non ingannevole.
Ora, prendendo visione della relativa campagna costituita da immagini e slogan, ormai virale su questa diavoleria moderna dell’internèt…
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“…e il finale è una sorpresa che non voglio sapere…”
Film Muto” – Nobraino
Uno strappo sulle ali, uno sguardo verso il sole,
un bel bacio, un nodo in gola, bei sorrisi così
una lotta a gonfie vele,
tu m’hai rotto le parole
e non ti capisco al volo se non voli con me
A ‘sto cuore muscoloso piace fare l’indifeso,
ma ti spaccherebbe il muso e il silenzio sa che
sostenerti è la mia impresa, giorni neri,
giorni rosa e il finale è una sorpresa che non voglio sapere
E continuan le nuvole a giocare col vento
disegnando di bianco il fondo piatto del cielo
e continuan le nuvole a giocare col vento
disegnando di bianco il fondo piatto del cielo
Dei giorni che ho vissuto e lo sporco sul vestito
e la faccia del bandito quando chiedi perché
puoi ferirmi con un dito, mille lacrime al minuto,
ma la trama del film muto mi continua a piacere
E continuan le nuvole a giocare col vento
disegnando di bianco il fondo piatto del cielo
e continuan le nuvole a giocare col vento
disegnando di bianco il fondo piatto del cielo
Ho compiuto da poco sei anni e ancora non posso saperlo, ma questa è l’ultima estate davvero spensierata che passerò. Manca un mese al primo giorno di scuola, e avrò la stessa maestra di mia sorella, la Signora Lomoro. Mia madre mi ha già comprato il grembiulino bianco con la scritta École ricamata davanti, le Bic che mordo sempre il tappo e la plastica trasparente fino a farla diventare bianca, i quaderni a quadretti grandi, il sussidiario e il libro di lettura. È già tutto pronto nella cartella verde che è nella sala da pranzo.
Siamo a Marina di Pietrasanta, ai bagni Le Gazzelle, e mi annoio. Scendendo in spiaggia mio padre mi ha detto che nelle tende della prima fila c’è un giocatore di calcio famoso, si chiama Giancarlo Antognoni. È una spiaggia seria, di quelle che non si può fare niente. Non posso fare le buche nella sabbia, non posso correre, devo parlare a bassa voce per non disturbare i vicini di ombrellone che tanto vicini non sono quindi come fanno a sentirmi? Non è un posto per bambini. Le uniche cose che ci sono permesse a me e mia sorella è costruire i castelli di sabbia sul bagnasciuga e giocare con le biglie. Per fare la pista mia sorella mi tira per i piedi e io scavo il percorso con il sedere, aggiustiamo un po’ le curve poi ci giochiamo. Dentro alle biglie ci sono le facce dei ciclisti ma io non ne conosco nessuno. Facciamo il bagno, ma bisogna aspettare tre ore dopo aver mangiato, e mia madre mi mette quella cuffia orribile che mi strappa i capelli anche se siamo al mare e non in piscina e io non esco dall’acqua finché non ho le mani lesse e lei mi chiama.
Ci sono le altalene. Sono due, vicino al bar, alte almeno tre metri, e ci possiamo andare da sole. Sono fatte con due corde grosse e una tavola di legno, e in quella più bassa ci salgo in piedi, e vado così in alto e veloce che ho lo stomaco sottosopra e sento i piedi che si staccano dal legno, e le mani mi fanno male per quanto forte stringo le corde. Quando torniamo a casa la sera ci fermiamo a bere in una fontanella lungo la strada, l’acqua è fresca e buona ma a volte c’è un rospo bruttissimo che mi fa schifo e anche un po’ paura.
Il viaggio da Terni a qui non finiva mai, io seduta dietro in mezzo, mia sorella a destra e litighiamo come sempre, e io non mi posso muovere che la nonna che sta a sinistra si lamenta che le do fastidio, che la consumo. Non vedevo l’ora di arrivare.
Ancora non so leggere bene ma tra qualche anno i miei divertimenti più grandi saranno i Gialli per Ragazzi della Mondadori, posso prendere tutti quelli che voglio dalla libreria di Daniele. I miei personaggi preferiti sono Nancy Drew e gli Hardy Boys. Prima di tornare in spiaggia dopo pranzo mi siedo nella sdraio sotto la pineta e leggo tanto. C’è anche un tavolo da ping pong, ma nessuno ci gioca con me. La sera usciamo a camminare sul lungomare anche se non c’è niente qui vicino, solo case con le persone nei giardini ma ci sono le siepi alte, per vedere qualcosa bisogna arrivare fino a Viareggio e passare davanti a quell’albergo enorme che si chiama Principe di Piemonte e ci lavora il figlio di Novella, la bidella della mia scuola. Lì c’è anche la pista con le macchinine elettriche. Quando piove giochiamo a carte tutti insieme, a Ramino oppure a Scala Quaranta, che da noi la regola è che per aprire ci vuole il 40 in mano. Non l’ho mai detto a nessuno ma certi giorni spero che piove, che mi annoio a fare su e giù sul lungomare, e invece giocare a carte mi piace tanto. C’è anche zia Liliana che lavora dai padroni della casa in cui stiamo.
Quarant’anni da quell’agosto lì, e ce ne ho passati tanti altri nello stesso posto, stessa casa, stessa spiaggia. Mi è tornato tutto in mente guardando due bambini che giocavano nell’acqua bassa con l’orca e Stuart. Non mi ricordo ci fossero cose del genere allora, io avevo paletta, secchiello e un mulino rosso in cui facevo scorrere la sabbia per far girare le pale.
Ma sono sempre in tempo per recuperare e se trovo un’orca come questa me la compro e ci sguazzo in mare, anche se le mie amiche faranno finta di non conoscermi.
I jeans ruvidi, asciugati al sole
Diabolik, Batman, Zanardi
Il ricordo indelebile di un forno a gas
Jake & Elwood Blues
Gli indici che puntano uno ad est e l’altro a ovest
Benicio del Toro, Jeff Goldblum, Jean Reno
Le linee che scavano i palmi delle mani
William Klein, Francesca Woodman, Brassaï
Un sopracciglio leggermente più alto dell’altro
Le fotografie scattate di notte
Una bici con cestino custom, entrambi di ennesima mano
Bukowski, Scerbanenco, Chandler
I tacchi delle scarpe consumati all’esterno
Il letto sfatto con le lenzuola spiegazzate
I visi spiegazzati
Nina Simone, Amy Winehouse, Tina Turner
Il parquet usurato da tutti gli amici che ci hanno camminato sopra
La Nike di Samotracia
Il terzo dito del piede più lungo di tutti gli altri
La nebbia
Brian Griffin, Telespalla Bob, Grisù
Una stampella di legno caduta sul naso
Un vecchio Laguiole con l’impugnatura in quercia
Un cuore graffiato e un po’ arrugginito
Rust Cohle, Jon Snow, il Signor Spock
Il bianco che avanza
Un ginocchio rigato da uno scoglio
Frida Kahlo, van Gogh, Banksy
Un paio di Timberland ingrassate ogni inverno
Quarantasei, come gli anni di oggi
Che non li scambierei con venti di meno, perché non avrei neanche un quarto di tutto questo
Cheers! 🍻
“Why not think about times to come
And not about the things that you’ve done
If your life was bad to you
Just think what tomorrow will do
Don’t stop thinking about tomorrow
Don’t stop, it’ll soon be here
It’ll be, better than before,
Yesterday’s gone, yesterday’s gone”
I rodimenti che m‘assalgono a fronte di determinate cose che vedo o che mi capitano di solito li scrivo di là, questo blog è fatto di fotografie, musica ed esperienze strettamente personali. Stavolta però ho deciso di fare un’eccezione e scrivere un off topic.
Bar fronte ufficio, come ogni mattina sfoglio il giornale mentre bevo il caffè. Il titolo centrale di Leggo (e di diverse altre testate di oggi) è uno di quelli che mi fanno girare parecchio le scatole, non per il contenuto in sé quanto per le disparità che immediatamente mi richiama alla mente. Lo faccio notare al mio collega, uomo, e scopro che ha fatto la mia stessa riflessione.
Nel testo dell’articolo si legge che «Sono già in corso e sono stati fatti procedimenti disciplinari per medici che sconsigliano i vaccini. Si può arrivare anche alla radiazione.»
Ora qualcuno mi spiega perché un analogo comportamento non viene seguito per i medici che si rifiutano di praticare l’aborto o di assistere donne che assumono la RU486? Per le ferriste che in sala operatoria hanno incrociato le braccia con un intervento in corso? Sembra anzi che i medici che si definiscono “obiettori di coscienza” abbiano vita più facile in Italia, al contrario di chi, lavorando nei termini di legge e garantendo i diritti delle donne, si trova ad essere oggetto di critiche, mobbing, denunce per omicidio. Volendo approfondire l’argomento ci sono tonnellate di pagine e articoli sul web.
Obiettori. Ma obiettori di cosa? Io non è che sia favorevole all’aborto a prescindere, e non lo considero un metodo di controllo delle nascite, però ci sono tanti motivi per cui una donna può decidere di volerlo fare, basti pensare a casi di violenze o malformazioni, che non sono poi così rari, e il medico non deve e non può entrare nel merito dei motivi; dietro ogni caso c’è una storia che possiamo solo vagamente immaginare. E’ vero che ci sono anche donne che affrontano la questione con leggerezza, ma esiste una legge che definisce regole e confini precisi entro cui potersi muovere, e tale legge va rispettata. Da tutti. Non esiste invece analoga legge per i vaccini, che, per quanto importanti siano, rimangono comunque facoltativi tranne i quattro somministrati alla nascita e pochi altri molto specifici, strettamente collegati alla professione svolta.
Il succo del discorso è che per alcuni medici si chiede la sospensione/radiazione per aver espresso una opinione, mentre altri rimangono al loro posto pur non avendo rispettato una legge dello stato. Il trattamento mi sembra quantomeno impari.
Fare il ginecologo non è un obbligo, se proprio hai deciso che vuoi fare il medico e hai problemi di coscienza, allora scegli un’altra branca, che so, ortopedia, otorinolaringoiatria, e certi scupoli non ti verranno mai. Ma se scegli proprio quella specializzazione lì, allora sai a cosa vai incontro, e dovrai garantire i diritti e l’assistenza di ogni donna che ti si presenterà davanti.
La medicina la considero un po’ come la religione/chiesa, nessuno ti forza a crederci e a farne parte, ma se lo fai allora devi essere coerente e rispettarne i dogmi.
E da qui deriva il grosso dei problemi di “coscienza”, perché le due strade non si incrociano sulle questioni più critiche, vedi anche la ricerca sulle cellule staminali embrionali (che hanno un potenziale immenso), o la definizione dello stato di morte ai fini del trapianto d’organi.
Ecco perché penso che un medico, per poter fare correttamente e coscientemente il suo lavoro, dovrebbe essere ateo.
“I threw it all away because
I had to be what never was”
“Something from Nothing” – Foo Fighters
Se attraversando i tornelli della metro sai già quale uscita prendere, ed entri nell’auto senza accendere sempre il TomTom prima del motore.
Se hai bisogno di una catena per la bici e sai dove comprarla. Ma anche una bici intera.
Se uscendo da lavoro non allunghi la strada tutti i giorni per non tornare subito al tuo appartamento, perché con quelle mura hai stipulato un patto di non belligeranza.
Se spostarti a piedi e in bici ti ha insegnato ad essere più attenta ed educata quando guidi.
Se inviare la richiesta di cambio di residenza fa un certo effetto, e il tagliandino che ricevi in cambio è così pesante tra le tue dita.
Se sai dove fare shopping comprando qualcosa di carino senza svenarti (le scarpe no, quelle rimangono caso a parte).
Se hai trovato un’estetista che si avvicina parecchio a quella frequentata per vent’anni, che curava i tuoi pensieri tanto quanto le tue unghie.
Se una mattina il phon muore e puoi tranquillamente bussare al vicino coi capelli nell’asciugamano, che lui di te ha già visto dettagli ben più intimi appesi ai fili del bucato.
Se hai portato a casa il progetto per cui sei stata assunta incassando l’apprezzamento ufficiale del nuovo capo.
Se i colleghi con cui condividi lo spazio e il tempo ti hanno fatto sentire parte del branco sin dal primo giorno, e ti dicono che quell’ufficio fatto di soli uomini lo hai anche un po’ trasformato.
Se le notizie che arrivano dal vecchio posto di lavoro sono sempre più sconfortanti, e guardando quel murale che è davanti all’ingresso del nuovo, sai di aver fatto la scelta giusta. E che indietro non ci torneresti.
Se c’è chi ti tiene la copia delle chiavi di casa e chi ti porta le medicine quando sei a letto col febbrone.
Se hai fatto sempre tutto da sola e non vorresti chiedere, ma a volte ne hai bisogno e scopri che non è poi così terribile farlo.
Se sai che l’accento della tua città non te lo toglierà mai neanche un corso di dizione, ma inizi a troncare i sostantivi invece dei verbi e ti ritrovi a dire “Figa, che giornata!”
Se il secondo tatuaggio più lo guardi e più ha senso, e no, non è troppo grosso, è proprio come doveva essere.
Se al locale pheego del momento preferisci il PicoBrew itinerante, con Jacopo che ti propone le birre che non hai ancora assaggiato.
Se quel Gin Tonic lì lo sai come va a finire, e va bene così.
Se imbocchi l’autostrada per andare verso una casa immersa nel verde ma sai già che questo asfalto e questo cemento ti mancheranno.
Se iniziando a scrivere il post era stato naturale aggiungerci “Something from Nothing”, ma quelle parole di “Milano e Vincenzo” sono le tue, e non puoi scegliere.
Se riesci a dormire cinque o sei ore per notte invece delle due o tre degli ultimi anni.
Se dopo un tot di risvegli a cinquecento chilometri da casa una mattina all’improvviso non hai più la sensazione di guardare il film di qualcun altro, e i piedi su parquet sono i tuoi, nel riflesso dello specchio ci sei tu, e l’acqua della doccia scorre calda su una pelle che è la tua. E rimani lì sotto a lungo, con gli occhi chiusi, a goderti l’acqua e questa nuova consapevolezza.
Se è così che sta andando, forse tutto quel che hai fatto per conquistare la collina 937 con sopra la speranza di altri vent’anni di lavoro non ha generato solo dolore e vuoti, ma anche qualche pieno e qualcosa in cui ricominciare a credere.
“Ti devo tanto come uomo
lavoro insieme ai figli tuoi
o Milano, fa’ di me quello che vuoi
ti lascio tutti i miei progetti
le mie vendette e la mia età
o non tradirmi sono vecchio e il tempo va”
“Milano e Vincenzo” – Alberto Fortis