Fahrenheit 451 #2

Mattina lunga di lago a remare tra Luino e Cannero, pranzo in orario di merenda. Vento, onde e parecchi allunghi, ma il test del quattro di coppia femminile è stato superato. Piccolo particolare, che fosse una prova sul campo lo abbiamo saputo solo a barche riposte e manca ancora il dettaglio del fine. Serata corta di pub, un occhio alla partita e uno ai dettagli del prossimo weekend, la teoria dice che sono stanca e dovrei dormire, la pratica è che sono troppo stanca per farlo.

Farhenheit 451 è uno dei pochissimi libri letti più di una volta e che riapro ogni tanto. La settimana scorsa nella vetrina di Mondadori ne avevo visto una riedizione in forma di graphic novel, presa immediatamente sulla fiducia. Meno di due ore per finirlo e accompagnarmi fino alle quattro di stamattina.

Vale la notte insonne per le pagine disegnate, per ciò che Hamilton ha saputo estrarre dal libro, per le inquadrature, per il linguaggio non verbale, per le sfumature emotive dei colori, e ci si chiede come mai ci siano voluti nove anni per farlo arrivare in Italia.

Vale anche per le pagine introduttive scritte dallo stesso Bradbury nel 2009 in cui racconta come è arrivato alla stesura finale del libro, e alle ultime righe pone una domanda che giro a voi:

In conclusione, chiederei a coloro che stanno leggendo questa introduzione di scegliere con tutta calma un libro che più di ogni altro vorrebbero memorizzare e proteggere da censori e “pompieri”. Chiederei loro non solo di nominare il libro, ma anche di dare una motivazione alla scelta spiegando perché a loro avviso potrebbe essere utile recitarlo e ricordarlo in futuro.

“Spirits in the Material World” – The Police

Rage, rage against the dying of the light

Rage, rage against the dying of the light

“Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day
Rage, rage against the dying of the light”

Notte di fantascienza. Mi piace, m’è sempre piaciuta, da leggere e da guardare. Cronache Marziane, Fahrenheit 451, la Guida Galattica, Alien, Guerre Stellari. Enki Bilal è stato una folgorazione, è iniziato tutto da lui. Blade Runner è intriso della sua Trilogia Nikopol, e non sono solo io a dirlo. Roba così come fai a non leggerla e rileggerla, a non vederla e rivederla (Se c’è qualcuno non ha mai letto Bilal, che corra ai ripari, se c’è qualcuno che non ha mai visto Blade Runner, addio).

Back to last night.

Arrival al cinema, Interstellar a seguire a casa (e grazie a te che m’hai fatto conoscere altadefinizione e a te che m’hai fatto comprare Chromecast). Interstellar non l’avevo ancora visto, mea culpa, ma era uscito al cinema nel mio periodo buio. Che sono il tipo da maratone s’è capito, e dunque ci ho fatto le tre di notte. Il suggerimento è arrivato da un amico che qualche sera fa mi ha detto che la poesia di Dylan Thomas citata nel film gli ricorda me, e che nel film acquista una forza particolare. Do not go gentle into that good night la conosco bene, è resident da qualche parte nella mia memoria. C’è un negozio a Firenze che vende scarpe di quella marca che inizia per H e che vaderetrosatana, ma il locale è bellissimo, allestito in una vecchia farmacia coi mobili dell’epoca. Dietro alla cassa c’è uno scaffale che occupa quasi tutta la parete, con tanti piccoli cassetti in cui mettono lacci e minuterie. Ecco io la mia memoria la dipingerei così, come tanti cassettini. Alcuni li apro tutti i giorni, altri stanno lì e mi ricordo del contenuto solo quando qualcuno ne sollecita l’apertura. Quindi ho visto il film, e la poesia di Thomas è al posto giusto nel momento giusto. Non mollare, non darsi per vinti anche se è una fatica bestia, anche se l’impresa è difficile, anche se sarebbe più facile lasciarsi andare, lasciarsi trasportare dalla corrente. Spiega anche la koi che mi sono fatta tatuare sulla schiena.

Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.

Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.

Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.

Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.

Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.

And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless, me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.

Fahrenheit 451

Questo post lo avevo scritto di là ma ho pensato che poteva stare benissimo anche qui.

Burn

“Nothing As It Seems” – Pearl Jam

Domenica pomeriggio ho acceso il camino e mi sono rintanata in casa, ogni tanto ho bisogno di un po’ di tranquillità. Avevo voglia di un libro, e me ne è tornato in mente uno letto tanto tempo fa, Fahrenheit 451. L’ho sfogliato alla ricerca di un paio di tratti in cui avevo messo un segnalibro, poi ho ricominciato dall’inizio. Pur se scritto nel ’53, è quantomai pertinente al momento storico. C’è anche un po’ di me qui, ma non è per questo che vale la pena leggerlo.

Vale la pena perché è veramente bello.

«Sono un temperamento asociale, dicono. Non mi mescolo con gli altri. Ed è strano, perché io sono piena di senso sociale, invece. Tutto dipende da che cosa s’intenda per senso sociale, non vi sembra? Per me significa parlare con voi di cose come queste.» Si mise a far suonare delle noci cadute dall’albero del giardino davanti alla casa.
«O anche parlare di quanto è strano questo mondo. Stare con la gente è una cosa bellissima. Ma non mi sembra sociale riunire un mucchio di gente, per poi non lasciarla parlare, non sembra anche a voi? Un’ora di lezione davanti alla TV, un’ora di pallacanestro, o di baseball o di podismo, un’altra ora di storia riassunta o di riproduzione di quadri celebri e poi ancora sport, ma, capite, non si fanno domande, o almeno quasi nessuno le fa; loro hanno già le risposte pronte, su misura, e ve le sparano contro in rapida successione, bang, bang, bang, e intanto noi stiamo sedute là per più di quattr’ore di lezione con proiezioni. Tutto ciò per me non è sociale. E’ tutt’acqua rovesciata a torrenti, risciaquatura, è, mentre loro ci dicono che è vino quando non lo è. Ci riducono in condizioni così pietose, quando viene la sera, che non possiamo fare altro che andarcene a letto o rifugiarci in qualche Parco di divertimenti a canzonare o provocare la gente, a spaccare i vetri nel Padiglione degli spaccavetri o a scassare automobili, nel Recinto degli scassamacchine, con la grossa sfera d’acciaio. O non ci resta che salire in macchina e correre pazzamente per le strade, cercando di vedere quanto da vicino si possano sfiorare i lampioni e quanto strette si possono fare le curve, magari sulle due ruote laterali. Può darsi benissimo che io sia proprio quello che dicono, d’accordo. Non ho amici, io. E questo dovrebbe provare che sono anormale. Ma tutte le persone che conosco urlano o ballano intorno come impazzite o addirittura si battono a vicenda, selvaggiamente. Avete notato come la gente si faccia del male, di questi tempi?»
«Le vostre parole, come sono antiche!»
«Talvolta, sono antica. Ho paura dei ragazzini della mia età. Si uccidono a vicenda. Credete che sia sempre stato così? Lo zio dice di no. Sei amici miei sono morti d’arma da fuoco da un solo anno a questa parte. Dieci ne sono morti in incidenti automobilistici. Mi fanno paura e loro non mi hanno in simpatia perché ho paura. Lo zio dice che suo nonno si ricordava del tempo in cui i ragazzi non si ammazzavano a vicenda. Ma tutto ciò avveniva molto tempo fa, quando le cose erano diverse. La gente aveva il senso della responsabilità, dice lo zio. Sapete, io ce l’ho, il senso della responsabilità. Mi prendevano a sculacciate, quando dimostravo di averne bisogno, del senso della responsabilità, anni fa. E faccio la spesa e rigoverno la casa completamente a mano, senza elettrodomestici.»
«Ma soprattutto», riprese, dopo un istante di pausa, «mi piace studiare la gente. Alle volte passo l’intera giornata sulla ferrovia sotterranea, a sentir le persone parlare, a guardarle. Mi piace indovinare chi sia quel tale, che cosa voglia quell’altro, dove vadano. In certe occasioni vado perfino nei Parchi di divertimento o faccio delle corse sulle auto a reazione, quando filano a mezzanotte ai margini della città e la polizia lascia fare, finché sono assicurati. Fino a quando uno abbia diecimila dollari d’assicurazione, tutti sono felici e contenti. Spesso scivolo come un serpente su una vettura della sotterranea a sentire che cosa dicono le persone. O nelle mescite di bibite dolci, e sapete che cosa ho scoperto?»
«Che cosa?»
«Che la gente non dice nulla.»
«Oh, parlerà pure di qualche cosa, la gente!»
«No, vi assicuro. Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice qualcosa di diverso dagli altri. E quasi sempre nei caffè hanno le macchinette d’azzardo in funzione, si raccontano le stesse barzellette, oppure c’è la parete musicale accesa con i disegni a colori che vanno e vengono, ma si tratta soltanto di colore e il disegno è del tutto astratto. E nei musei, ci siete mai stato? Tutta roba astratta. Ecco quello che ci si trova ora, nei musei. Lo zio dice che era differente una volta. Molto tempo fa, non so bene quando, i quadri e la scultura dicevano delle cose precise, mostravano addirittura delle “persone”!»