L’ultima alba

L’ultima alba

Alla fine ci siamo, qui e ora, a chiudere definitivamente una porta da cui sono passata per sette anni giusti giusti.
Da lunedì, casa non sarà più questa. Niente più acqua del Naviglio che vedo anche dal letto, niente più fuoco del camino a riscaldare più il cuore che i muri, niente più aria e sole che entrano dalla finestra sul tetto, tramonti ardenti che si specchiano nell’acqua, libri letti sul ballatoio con una birra fresca a fianco, bici per andare al lavoro e alla Canottieri. Di lei mi ero innamorata subito così com’era, come ci si innamora di un uomo. Le cose belle e le magagne, prendere o lasciare, e io mi sono buttata e ho preso tutto, faccio sempre così. E adesso staccarmene fa un certo effetto.

Questa casa ha visto amori finire senza dirselo, e cominciare all’improvviso senza averlo previsto. Mi ha vista cambiare e anche un po’ invecchiare. Mi ha vista rientrare stanca del lavoro, stanca della remata, stanca della giornata e delle scale, ma mai stanca di ciò che mi ha portata qui. C’è chi nasce con l’F205 scritto nel codice fiscale e chi ce l’ha dentro da qualche parte, e lo scopre davvero solo quando si ritrova a dover prendere una decisione importante.

Poco dopo l’arrivo a Milano mi son fatta tatuare sulla coscia sinistra una rosa dei venti legata ad un’ancora. Quando navighi a vela, il vento ti spinge e ti da la direzione, l’ancora ti tiene ormeggiato dove tu decidi di gettarla. L’ho fatto sapendo che a destinazione ci ero arrivata, e sperando che prima o poi sarei riuscita a avere un’ancora pesante abbastanza da poterlo completare con delle coordinate. Quell’ancora ce l’ho da due giorni, sancita dalle scritture di un notaio. E’ vero anche che ne possiedo il 50%, ma tanto mi basta, anzi.

Non era previsto ma è capitata un’opportunità, e mi sono detta Perchè no? Facciamolo. Ero stanca di vivere con lo zaino in spalla, il minimo indispensabile in un cassetto in bagno, testa e piedi in continuo movimento tra due case diverse. Magari è ora di crescere e mettere la testa a posto. Neanche tanto, perché ci vuole un pizzico di incoscienza per impegnarsi per vent’anni e cifre a cinque zeri a cinquantaquatrro anni e spicci.

E dunque da lunedì ci sarà una casa sola. Alla fine, ha vinto la comodità sul romanticismo, i sette piani di acensore sui quattro di scale, il riscaldamento a pavimento sui termosifoni di ghisa, i posti auto di fronte al portone sulla zona pedonale e sul tempo perso a cercar parcheggi non troppo fantasiosi e lontani, il silenzio notturno sul casino dei bar, la vista su Porta Nuova e sul Bosco Verticale invece che sul Naviglio Grande e la Darsena, le tre linee di metro a cinque minuti sulla scarpinata per Porta Genova. Essere in due invece che da sola. E comunque un po’ mi mancherai. Ciao.

“Home Sweet Home/Bitter Sweet Symphony” – Limp Bizkit

Traslocando #4


Dunque ho traslocato ancora, per la quarta volta in meno di due anni.
Stavolta però è diverso, e non perché ho dovuto pagare una ditta per spostare gli scatoloni, che di cose ne avevo accumulate. È che ci sono tutti i presupposti e le sensazioni per una roba che non sia a scadenza, per smettere di guardare gli annunci immobiliari e disattivare le notifiche di quelle due app che ho usato per cercare un nuovo tetto.

Perché con questa casa ci siamo capite subito, e a distanza di un mese già la amo. Perché i miei libri sono finalmente ordinati su due ripiani per genere e autore e son così belli da guardare, vecchi e nuovi, costole di colori e larghezze e altezze diverse. Come gli uomini in piazza, direbbe mia madre. Perché i chilometri a piedi e in bici sono drasticamente diminuiti, e quando esco dal lavoro torno dritta qua. Perché ho spostato la lezione di canottaggio del giovedì sera alla pausa pranzo. Perché i colori sono gli stessi che fuori, caldi, avvolgenti e amichevoli, e c’è un grande camino che si apre su due lati. Perché dal letto sul soppalco l’ultima cosa che guardo prima di addormentarmi è l’acqua del Naviglio. Perché appena mi sveglio sbricio la stessa finestra, sia mai capiti un po’ di nebbia. Perché le travi del tetto non riuscirei a stringerle neanche con quattro mani. Perché al bar sotto casa fanno musica due volte a settimana e un cioccolato caldo che vorrei avere la stessa lingua di Jim Carrey e Jeff Goldblum in Le ragazze della Terra sono facili per non lasciarne neanche un goccio. Di Jeff Goldblum a dire il vero apprezzerei anche tutto il resto. Perché ho una scrivania da ragioniere d’altri tempi con lo schedario e i divisori nei cassetti, e io ragioniera d’altri tempi lo sono, pur se non così lontani. E sotto il vetro ci ho messo un planisfero del National Geographic datato 1960 che se lo guardate, ha qualcosa di insolito che io stessa ci ho messo un po’ a capire quando l’ho trovato all’Old Spitalfields Market. Perché sorseggiare un gt o un calice di rosso guardando i tetti senza fine mi riempie una fetta di cuore. Perché ho portato qui la bilancina con cui da piccola aiutavo mio padre a far le cartucce. Perché coi due dell’appartamento vicino ho legato subito. Perché mi addormento sul divano col libro che mi cade addosso. Perché al mercato del sabato mattina c’è un ragazzo che vende uova freschissime e posso farci lo zabaione col caffè. Perché ditemi davvero cosa c’è di freddo e brutto e scostante in questa città.

Perché una casa non può dare la felicità, ma un’endovena di serenità si, ed è successo proprio come con lei. Non importa se anche questa di magagne ne ha, se è del 1900, se c’è qualche crepa e fili elettrici che corrono sugli angoli dipinti dello stesso colore dei muri; l’ho già detto più volte che la perfezione non fa per me. Se il parcheggio non è più di fronte al portone. Se la legna portata al quarto piano senza ascensore costa come lo zafferano. Se quando dimentico di prendere il pc ripasso a mente tutto il dizionario del perfetto scaricatore di porto. Che poi è sempre questione di guardar le cose dal punto di vista migliore, tra qualche mese avrò un lato B che squattiste da palestra, levatevi.

Qualcuno mi ha detto mentre cercavo che la casa perfetta non esiste, esiste quella con difetti che puoi accettare. Difetti a cui ti affezionerai e diventeranno parte inscindibile del pacchetto, aggiungo io.
Come per un uomo, come per una donna.

“Feeling Good” – Muse