Insomnia #2/#3

Non si dorme neanche stanotte. Nonostante la sveglia presto, le otto canoniche ore di lavoro e la serata a Roma. Uscita di casa alle sette e mezzo, rientrata all’una di notte. Sono sveglia da ventuno ore, gli occhi aperti, il cervello in movimento.

Non so perché ma non mi piace scrivere i numeri in cifre, a meno che non sia proprio necessario. Ventuno è infinitamente più bello di 21. Mi da più soddisfazione, la parola si stotola tra le labbra come se fosse più lunga, come se ci volesse più tempo a pronunciare sette lettere invece di un numero di due cifre.

Trecentosessantacinque giorni, meglio di un anno.
Millenovecentosettanta, il mio anno di nascita.

Un’idiosincrasia, come tante altre. Scegliere solo i biscotti interi. Tenere gli interruttori nella stessa posizione, tassativo per quelli sulla stessa piastra. Evitare la carta igienica in formato salvaspazio come la peste, quella carta che si srotola in modo così sbilenco e poco armonioso è insopportabile da vedere. Ovviamente, la si deve srotolare dall’alto, come ha ben argomentato Fasix in questo post.

Stendere le coppie di calzini con mollette dello stesso colore, problema risolto comprandone sessanta uguali. Di mollette, non di calzini. I calzini hanno un altro problema, per quanto tu possa impegnarti per mantenerli insieme, la lavatrice ne inghiottirà sempre qualcuno e non lo restituirà mai se non dopo aver perso il compagno superstite. Anche questo problema è già stato adeguatamente sviscerato, da Alex qui.

Idiosincrasie e piccole manie quotidiane. Annusare sempre il cibo prima di mangiare, e imparare a farlo con discrezione, perché non tutti capiscono il senso e il valore di questo gesto. Imparare ad annusare il sugo per capire se manca il sale senza assaggiarlo. Annusare il barattolo del pepe del Bengala piuttosto che quello del Nerikai affumicato. Stringere tra le dita una foglia di menta o di erba limoncina mentre scendo le scale di casa solo per sentirne l’odore. Avete mai letto il libro “Profumo” di Patrick Süskind? Notevole.

Un’insana passione per i numeri palindromi. Stranirsi per aver perso i 203302 km della mia auto (questo è un esempio di numero che va scritto proprio con le cifre, altrimenti non rende) e attendere ora i 204402, che saranno ancora più belli. Quando arriveranno, accosterò e scatterò una foto da mandare al mio collega parimenti disturbato con il quale scambio reportage fotografici di numeri e targhe di questo tipo.

Camminare lungo il vialetto dell’ufficio cercando di poggiare i piedi al centro delle mattonelle del lastricato, evitando di calpestare le fughe. Leggere i manuali degli oggetti che compro, soprattutto quelli tecnici, preferibilmente prima dell’acquisto. Oggi è facile, basta cercare nel web e San Google ci risponde mille volte più precisamente dell’oracolo di Delfi, ma in epoca pre-internet, per comprare il computer da sub mi feci dare dai proprietari del negozio (miei amici) i manuali dei due modelli su cui avevo ristretto il campo per leggermeli tutti. Una roba molto da nerd. Leggo anche le etichette degli alimenti che compro, ma anche quelle dei capi di abbigliamento. Avete mai notato che esistono capi che, secondo l’etichetta, non si possono lavare né in acqua, né a secco? Usa e getta?

I giravite. Ne ho di tutte le misure. Vecchi e nuovi. Minuscoli di precisione e grandi adatti a montare mobili. Piatti, a croce, a stella. Magnetici. Una valigetta grande in ufficio. Una piccola a casa, con una sola impugnatura e le teste intercambiabili per risparmiare spazio. Un set di brugole, due paia di pinze. Nastro biadesivo. Possono sempre servire.

I fiammiferi. Quelli classici di legno, ma lunghi, lunghissimi. Li compro in ogni posto in cui vado, a New York ne ho trovati di bellissimi, lunghi il doppio della media, punta nera, lo skyline della città disegnato sulla scatola. I fiammiferi sono legati al fuoco. Lo amo, in tutte le sue espressioni. Il rosso acceso delle braci, l’arancio più tenue delle sue lingue che a volte vira al bianco e al viola. Il tipo di calore emanato, persistente e penetrante. Da bambina, attendevo con ansia il giorno dell’Ascensione perché si accendevano i “focaracci” in mezzo alle strade. Una usanza improponibile oggi, ma affascinante come poche. Come i falò sulla spiaggia. Come stringere tra le dita la cera fusa delle candele col rischio di bruciarsi i polpastrelli per fare il calco delle impronte digitali. Bè quest’ultima cosa forse è affascinante solo per me, non so star ferma davanti ad una candela accesa.

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La cancelleria. Il primo cassetto della mia scrivania rifornisce l’intero ufficio. Penne rigorosamente a inchiostro liquido, punta tra 0.7 e 1.0, potrei passare un’ora intera in una cartoleria a scegliere la penna giusta, scrivo già male di mio, con le biro poi la calligrafia diventa simile a quella del mio dottore. Forbici, gomme per cancellare. Penne colorate e pastelli fluorescenti, di quelli grandi uso evidenziatore. Matite, tante, la cui punta si fa nel temperamatite elettrico, e guai a chi me lo svuota. Nel cassetto ho ancora una contacaratteri scolorita, risalente all’epoca delle stampanti di linea.

I tovaglioli dell’Ikea di tutti i colori dell’arcobaleno, e anche qualcuno in più. La carta da regalo. Rifaccio quasi sempre i pacchetti, raramente trovo soddisfacenti le confezioni fatte dai negozi.

Ogni tanto ci penso a tutte queste strane cose che amo e che faccio. Poi mi guardo intorno in ufficio e vedo altri casi umani. Chi conta i passi di tutta la giornata. Chi si fa crescere la barba per tutto l’inverno per poi tagliarla a primaverva e metterla in barattoli di vetro datati per anno (e giuro che non è un’invenzione). Chi parcheggia sempre esattamente nello stesso posto auto incazzandosi se qualcuno arriva prima e lo occupa. Chi s’è costruito il pluviometro e l’anemometro in casa per sapere quanto gli piove sul terrazzo. Con tanto di monitoraggio online da remoto. Chi guarda Beautiful tutti i giorni da trent’anni, uomo e padre di famiglia.

Gli informatici sono veramente delle brutte bestie. Non vi consiglio di adottarne uno come amico se non avete una  adeguata preparazione.

Edit: 18/03/2015, questa volta non m’è sfuggito!

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“Mad world” – Gary Jules

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