Quando qualcosa non funziona, intervengo io, anche a distanza. Qualunque oggetto alimentato a corrente rientra di default nella categoria tecnologia, se poi è un computer o una macchina per il caffè fa poca differenza. Quando c’è un sistema delicato da governare, finisce sulla mia scrivania. Quando c’è un cuore da rattoppare, pure lì ci sono io. E quando c’è una situazione di emergenza, arrivo io. Con la testa prima, e tutto il resto del corpo a seguire.

Sono il Signor Wolf, risolvo problemi.

Un giovedì qualunque, che era iniziato come un giorno qualunque.
Tarda mattinata, riunione d’urgenza sulle grate bordo circonvallazione, durata un pacchetto di cigarillos in due riprese e qualche caffè. Bisogna scendere, io e il mio capo. Primo pomeriggio, organizzazione trasferta e stravolgimento biglietti ferroviari, che i due weekend successivi li avevo già prenotati su altre tratte. A seguire, cercare di tamponare la situazione facendo apparire discreti dei numeri che nella sostanza sono disastrosi. Il mio lavoro è fatto anche di creative opere d’arte basate sull’aritmetica e il cut&paste. Tarda serata, la parte più difficile: stipare in un trolley da cabina il necessario per due giorni a casa, quattro in ufficio a Roma e quattro a Firenze comprensivi di due compleanni e due concerti senza ripassare dal via. Mission impossible, ma ce la posso fare.

Dal primo weekend esco quasi indenne, concentrando in poche ore il compleanno della M maiuscola, incombenze burocratiche di famiglia, piantare pomodori, basilico, prezzemolo, altro compleanno, raccogliere ciliegie, qualche ora di lago e un po’ di sonno.

Il tassista romano è una tipologia umana che non esiste altrove, sarebbe da studiare come uno specifico sottoinsieme dell’antropologia sociale. In pochi secondi dalla chiusura dello sportello riesce stabilire un contatto tale da convincerti che nella precedente reincarnazione vi conoscevate sin da bambini, e tutto il resto che dirà sarà un aggiornamento di storie che ti pervengono dal subconscio. Nei venti minuti tra Termini e l’ufficio vengo a sapere da quanto tempo guida il taxi e del primo lavoro da macellaio, il calcolo dei contributi e quanto manca per la pensione, non fosse per quei due anni lavorati in nero. La moglie, i parenti emigrati, il figlio ventenne attore di teatro che studia il metodo Stanislavskij ma punta alle fiction, e tra una parte e l’altra fa involontarie stragi di femmine ben più adulte di lui. Il padre lo incoraggia, e se andrà male in casa c’è sempre la licenza da tassista, e un tetto e da mangiare sono assicurati. Inevitabile anche usare i semafori per mostrarmi spezzoni di video e fotografie, in una giornata così calda dal corpo del tassista trapela più orgoglio che sudore.

Avevo lavorato e vissuto Roma per un anno, ed è uno dei motivi che mi hanno poi spinta verso Milano quando ho iniziato a cercare un altro lavoro. I mucchi di spazzatura non sono una sorpresa neanche in centro, ma ancora mi stupisco quando i colleghi mi raccontano che si chiudono in macchina, girano l’orologio sotto il polso se usano le due ruote o che la già vaga puntualità degli autobus decade vertiginosamente alla chiusura delle scuole. Dispiace che una città così bella sia anche così difficile da vivere.

Dopo una serie di colloqui, analisi, riorganizzazioni, osservazioni sul campo di giorno e conversazioni fino a tarda notte, la calata dei Lanzichenecchi inizia a mietere consulenti. Ne rispediamo al mittente due su sei, e per un terzo credo che sia solo questione di tempo. Poco, se non si sveglia. Non sono tagliata per fare il terminator, ma scambiare un ufficio per una sala conversazione ha delle conseguenze, così come non essere la persona giusta al posto giusto. Quando il giovedì prendo il treno per Firenze sono sollevata e al tempo stesso preoccupata: se anche la parte visibile è a posto, c’è tutto il resto dell’iceberg da sanare.

Arriviamo all’ippodromo in tempo per gli Smashing Pumpkins. Corgan e Iha sono in gran forma, chisseloaspettava, e chisseloaspettava pure che Wish you were here nella versione di Billy e James avesse un perché. Il metal ipnotico dei Tool invece, è ciò di cui ho bisogno, troppo lontana e anche troppo bassa per vedere bene il palco, ma quello che ascolto basta a prosciugare la mente. Maynard & co. sanno il fatto loro e lo dimostrano tutto, fino sotto la pelle, fin dentro alle ossa. L’Eddie Vedder del sabato è sempre grande, ma due anni fa sullo stesso palco è stato una spanna sopra, e poi da quando i concerti si chiudono senza bis?

E alla fine, il mare. Anche solo per qualche ora è sempre mare. Quello da guardare, quello da ascoltare, quello in cui tuffarsi.

“Forty Six & 2” – Tool

19 pensieri su “Mrs. Wolf, i tassisti romani, i Tool e il mare

      1. Dal vivo hanno un loro perché, anche io tutto un album loro non lo potrei sentire, ma dal vivo è diverso.
        Comunque grandi i Tool, tra l’altro con un piglio e un impatto davvero devastanti.
        Ah, c’erano anche gli Smashing Pumpkins, anche se… beh l’anno scorso era diverso.
        Ps.: ho la benedizione di Ozzy dall’anno scorso, penso sia abbastanza!

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  1. sto ancora sudando per te, mi ha fatto venire il fiatone leggere l’affollamento di cose che hai fatto…
    e pensare che io ho solo fatto l’ascesa in bici del Mont Ventoux condita da due viaggi in pulmino da 15 ore cadauno per arrivarci….

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