Ultima Alba

Con le collaborazioni ci abbiamo preso gusto, il racconto stavolta è di metalupo, e anche la musica è un’idea sua, ci sta proprio bene.

Vik

“Shine On You Crazy Diamond (Part I-III)” – Pink Floyd

Vik, Suðurland region
Iceland

Adesso

L’uomo del tempo osserva il relitto adagiato sulla sabbia nera.
Osserva le orbite scavate dai traccianti blindati, i resti della carlinga corrosa dalla salsedine, quello che rimane del DC3 Dakota, uno scheletro abbandonato in riva all’oceano.
L’uomo del tempo lo sa ed è per questo che lo chiamano così, concede un’altra veloce occhiata all’aereo, alla distesa di corpi umani scomposti, aggrovigliati in pose innaturali, violati all’essenza stessa della carne.
Lui lo sa.
Il tempo vince sempre.

La notte prima

Vikingasveitin.
Fantasmi in evaporazione sistematica, all’origine la perfezione del combattimento urbano, squadre SWAT, special weapons and tactics, ora qualcosa di molto oltre portato al limite nelle dure lande desolate del grande inferno bianco.
Addestrati in Norvegia, di base ad Akureyri, controterrorismo, sabotaggio navale in ambiente artico, lanci HALO direttamente sul pack, tiro di precisione in alti venti a temperature polari.
I Vichinghi della squadra Bravo hanno freon che circola nelle vene, sono perfettamente consci di far parte di una ristrettissima élite di soldati professionisti, sono altrettanto consci che forse, questa notte, potrà non bastare.
Olafur Arnarsson è il majuri della squadra, il secondo nella catena di comando.
A trentadue anni è considerato un veterano, ha combattuto, si è addestrato con le migliori forze speciali del mondo, impugna un Armalite M307 fasato plasma, ottanta dardi caseless nel caricatore a spinta magnetica del fucile d’assalto, eppure le sue mani non smettono di tremare.
Eppure quello che osserva attraverso il visore starlight gli congela il respiro in una morsa d’acciaio.
I corpi avanzano ancora.
– Signore.
Un fiato livido, perturbazione nelle molecole.
– Li ho visti Olafur.
Generale di brigata Einar Ragnarsson, comandante dei Vikingasveitin, quarantasette anni, fisico asciutto, gli occhi azzurri del generale sembrano mandare lampi infuocati attraverso la tinta mimetica bianca che gli stravolge i lineamenti.
L’uomo del tempo osserva il cronografo militare ancorato al polso sinistro, diciassette minuti esatti, i corpi si rialzano dopo diciassette stramaledetti minuti.
Il tempo di ricaricare le armi.
Tutte le armi.
Ragnarsson scandisce da una settimana i tempi della squadra, da quando la follia ha invaso la sua terra, da quando il respiro dello Strokkur, forse il più famoso geyser islandese, ha liberato nell’aria qualcosa.
Qualcosa emerso dalle profondità della terra, qualcosa di aerobico che si è sparso rapidamente nell’atmosfera mutando per sempre la vita dell’isola dei vulcani.
Probabilmente mutando per sempre l’intero percorso dell’umanità.
Rientrati dal Galles in fretta e furia dopo un’allerta generale diramata dallo stato maggiore di Reykjavik, gli specialisti dello squadrone Bravo hanno intrapreso il cammino dell’incubo senza fine.
Nel 2024 l’Islanda conta una popolazione di circa quattrocentomila unità, le stime di quello che resta del governo centrale parlano di un contagio allargato al sessanta per cento degli islandesi.
Uomini, donne, bambini trasformati in macchine di morte.
Sete di sangue, fame di carne.
Carne umana.
Einar rabbrividisce sotto la tenuta artica da combattimento, in quei diciassette minuti hanno tentato di tutto, granate a frammentazione, armi da fuoco, esplosivi, asce, mani nude.
I corpi smembrati sembrano dotati di una memoria selettiva che permette alle cellule una sorta di rigenerazione spontanea.
La carne si ricompone con calma, con pazienza, la carne si rialza e pretende.
Olafur, di nuovo.
– Signore, cento metri.
Il generale, chiude la mano destra attorno all’impugnatura della pistola da combattimento, fa scattare il perno di armamento del percussore e osserva il cielo stellato respirando a fondo l’aria tersa.

Adesso

Sedici minuti e cinquantanove.
Qualcuno, chiuso in un laboratorio da qualche parte, sotto metri di roccia, gli occhi incollati a un microscopio.
Qualcuno ha sintetizzato una cura.
I primi vaccini vengono inviati in fretta e furia per essere diffusi nell’atmosfera dell’isola, spediti con un vecchio aereo militare in gran segreto, spediti con un team di scienziati pronti a tutto.
Grosso errore.
Nessuna ha calcolato la potenza del virus, la velocità, la resistenza in alta quota.
Il generale passa le dita sul relitto nerastro, attraverso le orbite vuote le creste spumose del mare si frangono lungo la spiaggia nera.
Dodici minuti.
I corpi fremono, sangue e carne si mischiano alla sabbia vulcanica, i copri si preparano ancora una volta.
Otto minuti.
Einar lo sa, lui è l’uomo del tempo, sa quanto manca.
La decisione è stata presa lontano da loro, uomini seduti a una scrivania sorseggiando caffè tiepido in maniche di camicia hanno deciso per loro.
Hanno deciso per TUTTI loro.
Quattro minuti.
In lontananza il rombo del bombardiere strategico si fa più vicino, Einar stacca il respiratore NBC, si leva la maschera dalla faccia e inspira a fondo l’odore di salsedine per l’ultima volta, i gabbiani sembrano salutare la squadra Bravo con le loro urla.
Due minuti.
I primi cadaveri si rialzano sui gomiti corrosi, occhi vuoti, crani deformati dagli impatti.
Einar sorride.
Tempo zero.
Luce.