4 is the new 7

Son due giorni che c’è nebbia. Poca e solo in certi orari, a dire il vero, e molto meno di quella che vorrei vedere. Sentire. Mi piace, è come un alito fresco sulla pelle. Come un filtro che smorza la bruttezza al di là dell’obiettivo. Come quando ti svegli con gli occhi appannati e le orecchie ovattate, e non hai ancora la percezione del troiaio in cui ti infilerai un attimo dopo aver poggiato i piedi a terra e preso in mano il telefono.

La vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.

Non sbagliava, la madre di FG. Fisso in agenda appuntamenti con me stessa e arrivo in ritardo. Faccio programmi che non riesco a rispettare. Tipo smettere di lavorare non dico alle sei, ma almeno alle nove, sarebbe già un risultato. Tipo leggere almeno venti pagine al giorno, e non riesco neanche ad aprire il libro. Tipo muovere non solo le dita delle mani ma anche tutto il resto del corpo.

Ci avevano fatto credere che avremmo potuto risalire in barca, non solo fisicamente, ma è durata poco. Troppo poco. Il mio ufficio si tiene con gli elastici, la metà degli italiani e 3/4 dei tedeschi sono in quarantena, uno ha gli attacchi di panico, uno è in ospedale trattato con l’ossigeno a una settimana dalla pensione. UK in lockdown, giusto un attimo prima di noi. I rumeni tengono botta, a quanto pare sono i più resistenti. Tappo i buchi come posso, per quello che ieri avrei risolto con una trasferta, oggi è rimasta l’imposizione delle mani, a distanza.

Il sollievo dei mesi estivi è svanito, i sei gradi di separazione si sono azzerati.  Se prima non conoscevo nessuno neanche tra gli amici degli amici, adesso sento il fiato sul collo. Non smetto di dire che in tutto questo disastro, noi siamo quelli fortunati. Quelli che campano di smart working e digital transformation, quelli che il lavoro non gli è mai mancato, anzi, semmai aumentato, mentre c’è chi la cassa integrazione è un miraggio. Non smetto di dire neanche che mentre passavamo l’estate a drogarci di pillole di finta normalità, quelli che abitano la stanza dei bottoni avrebbero dovuto almeno provare a prevenirla ed arginarla questa seconda ondata, e invece si sono presentati all’esame di riparazione come l’ultimo degli scaldabanchi. Non me ne capacito.

Continuiamo ad assimilare parole insolite, dopo aver riesumato assembramenti e importato lockdown, è l’ora dell’infodemia. Ci adattiamo ai DPCM come camaleonti, quando la chiusura dei locali si sposta alle 18, l’aperitivo diventa merenda, quando si sopprimono le feste, qualcuno comincia ad organizzarle neanche tanto  clandestinamente tramite Instagram, e chissà se il 1930 e gli altri speakeasy sono chiusi.

Io guardo Caccia a Ottobre Rosso in onore di Sean, cuocio castagne nel camino, faccio aperitivo con le M su uozzap e aspetto il prossimo DPCM. Me lo immagino più o meno così:

“Blurry” – Puddle Of Mudd