Cena al buio

Sabato sera sono stata ad una cena al buio.
No, non una di quelle terribili occasioni dove un’amica, senza alcun motivo ragionevole, cerca di accoppiarti ad un altro suo amico momentaneamente (e chissà come mai) libero. Intendo una cena senza neanche un minimo di illuminazione, proprio al buio.
In una serata come questa, il cibo di per se è in secondo piano, il fine è immedesimarsi per qualche ora nella vita di una persona che non ha mai avuto o ha perso la vista. È un colpo allo stomaco, dall’inizio alla fine.
Tutte le certezze che ci derivano dall’avere ogni cosa costantemente davanti ai nostri occhi sono demolite nell’istante stesso in cui si apre la porta della stanza buia.

Dal momento in cui si scende, siamo consegnati nelle mani di personale non vedente. Si entra a gruppi di 8, in fila indiana con la mano ben poggiata sulla spalla di chi ci precede, con due accompagnatori, uno in testa alla fila ed uno in coda. Dentro non ci sono riferimenti, per noi che siamo abituati a basarci solo su ciò che vediamo, e la mano poggiata sulla spalla davanti stringe automaticamente più forte. Chi ci guida invece, ci accompagna agevolmente al nostro posto. Cautamente ci sediamo, cercando le sedie a tentoni, senza sapere neanche le dimensioni del nostro tavolo e quante persone ci sono insieme a noi. Rumore di posate cadute a terra di qualcuno che si è seduto in modo un po’ maldestro. Il primo istinto sarebbe quello di raccoglierle, ma dove? E come? In un attimo, abbiamo già perso la cognizione dello spazio e capito che senza aiuto sarà dura cavarsela alla prima stupida difficoltà.
I minuti passano cercando di adattarsi alla sensazione fisica e psichica di questo buio completo, nero come non mai. Gli occhi non abituati si sforzano di cercare un qualsiasi punto di luce, anche se la testa sa che non c’è niente, il movimento e lo sforzo sono involontari.

Esploro il mio spazio, un piatto con qualcosa già dentro, due coltelli a destra, tre forchette a sinistra, posata da dolce e un solo bicchiere che sarà già difficile da gestire. Non so neanche come sarà composto il menù, posso solo avere un’idea del numero di portate in base alle posate. Ho sete. Cerco la bottiglia dell’acqua allungando piano le mani davanti a me e la prendo, no, prima avvicino il bicchiere. Naturale o frizzante? Lo scoprirò bevendo. Apro la bottiglia e memorizzo il posto del tappo. Un dito leggermente dentro il bicchiere per capire quanta acqua versare. Il primo tentativo è maldestro, ho versato velocemente e il tempo di reazione tra il sentire l’acqua col dito e l’alzare la bottiglia è troppo lungo e l’acqua arriva al bordo, devo berne un po’ lì prima di spostare il bicchiere. Cercare il tappo, rimettere a posto la bottiglia, poi il bicchiere, vicino al piatto per evitare di scambiarlo con chi ho davanti. Chissà chi sarà poi, un uomo o una donna?

Iniziamo. Ho già cercato di annusare ciò che è nel piatto, ma l’olfatto non mi è stato molto d’aiuto, è qualcosa di freddo e non sento odori particolari. Forchetta in mano, provo ad infilarla nell’antipasto. È morbido, e al primo tentativo non arriva niente in bocca, perso per strada. Riprovo… al ritmo di una forchetta piena ogni tre vuote inizio a mangiare.
Finché non ci si trova in una situazione del genere non ci si rende conto di quanto conti la vista nel mangiare, io stessa ho sempre pensato che il senso principale coinvolto fosse il gusto. Che bastasse il sapore per sapere cosa si sta mangiando con una certa sicurezza, e invece no…. non capisco cosa ho in bocca. È un tortino morbido, percepisco il sapore dei funghi, e ora anche l’odore, ma mi sfugge ancora il resto. Non sono patate, la consistenza è simile all’uovo strapazzato ma non c’è il sapore forte, è qualcosa di più neutro, forse hanno usato farina e latte, e magari dell’uovo solo l’albume.
Ho finito di mangiare? Boh… cerco di ripassare con la forchetta in tutto il piatto, e scopro diversi pezzi di tortino che si erano persi strada facendo.
Arriva la cameriera a ritirare i piatti, mi chiede se ho finito, poi prende il mio senza neanche sfiorarmi, così come succederà tutte le altre volte che porterà e ritirerà i piatti successivi.

È passato un po’ di tempo dall’ingresso, gli occhi continuano ancora a cercare, li sento affaticati in questa caccia ad una luce che non c’è, se li chiudo va meglio, riposano.
Vino. Vorrei del vino ma dov’è? Chiedo all’amica seduta alla mia destra, toccandole il braccio per farle capire che sto parlando con lei. Mi passa la bottiglia, cercandomi la mano, il metodo per versarlo è ormai collaudato.
Tra una portata e l’altra, due chiacchiere con le amiche tra le quali sono seduta, impossibile parlare con qualcuno più lontano, è difficile farlo persino con loro due insieme. Poche parole comunque, in questa situazione ci sta bene anche il silenzio, per assorbire tutte le sensazioni sconosciute che arrivano. Purtroppo non tutti la pensano così, dietro di noi un tavolo di ragazzi urla e intona canzoni da bettola, qualcuno azzarda addirittura l’accensione di un telefono, cosa che ci era stata specificatamente vietata.
Non hanno capito lo spirito della serata.

Arriva la portata successiva, è un primo, mezze penne con sugo di pomodoro, e fin qui è semplice da identificare, dall’odore, dal sapore e dalla buccia dei pomodorini, ma c’è anche qualcos’altro. Mi convinco che si tratta di melanzane, più per la consistenza morbida che per il sapore, che è piuttosto neutro. Io che mangio con la velocità di un fulmine, tarata da anni di mensa e pause pranzo brevissime, arrivo alla fine a pasta gelida… Avete idea di cosa vuol dire infilare con la forchetta una mezza penna senza guardare? È più facile azzeccare un terno al lotto che centrarne una con tre colpi a disposizione. E anche a prenderle da sotto e sollevarle, i tempi non si accorciano.

Non abbiamo autonomia di movimento, se qualcuno ha bisogno di alzarsi per andare alla toilette, bisogna attendere gli assistenti di sala, senza non saremmo in grado né di andare, né di ritrovare il nostro posto.
A scrivere queste ultime parole mi è tornato in mente un fatto: 16 anni fa ho subito l’operazione per la correzione della miopia, -8 diottrie per occhio. Alle visite oculistiche non leggevo neanche la prima lettera in alto, quella gigante. Ci ho pensato un bel po’ prima di decidermi, non era ancora così diffuso come intervento all’epoca, e la spinta finale è arrivata un giorno al mare. Ero in acqua con il materassino, senza lenti né occhiali, la corrente mi ha spostato, e quando sono uscita, non capivo se per tornare al mio posto dovevo andare a destra o a sinistra… un attimo di panico, poi mi sono orientata ricordandomi i colori degli ombrelloni, l’unica cosa che distinguevo. Quella operazione è stata una svolta nella mia vita, pur partendo dal presupposto che poco che fosse, comunque ci vedevo.

Arriva il secondo, dall’odore è carne. Uso i denti della forchetta come dita per toccare cosa c’è nel piatto. Roast beef con vicino qualcosa di contorno. Provo a tagliare le fette con il coltello, impossibile tarare le dimensioni dei pezzi, altrettanto cercare di infilare contemporaneamente un pezzo di contorno sopra ad uno di carne. Carotine lesse e una qualche erba anch’essa lessata, foglie morbide, gambi un po’ più duri, non credo siano spinaci, ma qualcosa di simile che rimarrà comunque non identificato.
Al dolce, si accendono luci soffuse, noi torniamo a vedere, loro no.

Man mano che la cena è andata avanti, ho acquistato destrezza nei movimenti, ma questa è la parte più facile, “basta” stabilire i confini del proprio spazio e memorizzare la posizione degli oggetti. Gli altri sensi si acuiscono per cercare di compensare le mancanze. Una simile organizzazione la posso immaginare applicata ad una casa, agli oggetti di uso più o meno comune, ai vestiti divisi per tipi e colori. Ecco, il colore… una caratteristica ininfluente ma che deve essere comunque presa in considerazione, il pubblico dei vedenti è già pronto a sparlare o a compatire un insieme di tinte mal mescolate. Capisco ora appieno anche il significato della locuzione “fidarsi ciecamente” di qualcuno.
Molto più difficile è invece interfacciarsi con le persone, cosa possibile solo avendole a portata di mano nel vero senso della parola. E per conoscere gente nuova come si fa? Di solito si passa per lo sguardo, occhi che si soffermano una volta, che si incrociano tutti i giorni, questa parte non c’è.
Quando si pensa alla mancanza della vista, ci si limita spesso allo strato più ovvio del problema: il non poter godere di un panorama, non conoscere i colori, i volti delle persone, invece questa è solo la punta dell’iceberg. Mi vengono in mente una marea di riflessioni, ma questo non è un saggio sull’argomento, è solo un post che lascia il tempo che trova.
Anche se breve, questa serata mi ha lasciato una comprensione ben maggiore di quanta ne avessi rispetto a questo handicap, e alle difficoltà da affrontare per avere una vita autonoma con buone relazioni sociali, ammesso poi che ci si possa riuscire.
Dovesse capitarvi un’esperienza del genere, fatela senza esitare.

“Auto Rock” – Mogwai

Ho aggiunto la fotografia che avevo pensato per questo post, ed è qui: Mi fido di te

25 pensieri su “Cena al buio

  1. Sono stata lí al tuo fianco mentre cercavi di infilzare un pezzo di cibo.. Mentre a tentoni stabilivi il tuo spazio, mentre il bicchiere si riempiva troppo in fretta.. Eppure leggevo il tuo post, con questi occhi … Siamo fortunati senza nemmeno rendercene pienamente conto …

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  2. E tu saresti quella che ha remore a scrivere perché pensa di non esser capace? Tu DEVI scrivere, santo cielo!
    Come dice arsomnia ero con te, mentre tentavi di acchiappare le mezze penne, mentre versavi l’acqua e il vino, mentre riflettevi su come andare in bagno… Mamma mia, è una meraviglia, questo resoconto, grazie per la condivisione, è un’esperienza che varrebbe davvero la pena di fare.
    Ah dimenticavo la sensazione di stringere più forte la spalla davanti e (non lo hai detto ma si sentiva) di sentire la mano sulla tua che stringe… 🙂 Bellissimo. Bellissimo.

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  3. Concordo in pieno con Wish aka Max riguardo lo scrivere.
    Riguardo la cena al buio, è un esperienza che ho fatto anch’io. Solo che non sono stato aggraziato come te e, a metà cena, son dovuto uscire per un attacco di panico.
    Ho pensato, a un certo punto, che avessi perso la vista per davvero e quindi son dovuto uscire a controllare.
    E’ una delle esperienze più educative che abbia mai fatto.

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    1. Sai che ci ho pensato tanto alla foto? Confesso che la prima idea era stata proprio quella di una tutta nera, ma l’ho subito scartata, banale, ovvia e insignificante. Ho pubblicato il post senza metterla per la voglia che avevo di condividere questa esperienza, ma ci sto ancora pensando, e prima o poi la trovo.

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  4. Quel che in me è stato più forte è la tua ottima capacità di far percepire una sensazione di progressiva abitudine alla differenza… progressiva ma mai totale. Mi sono anche detto che per quanto tu brava lo sia stata davvero, è impossibile per un vedente immaginare e vivere davvero quella condizione… per cui mi sono detto quanto davvero quella sarebbe per me personalmente una condizione insopportabile!
    Sei brava anche con la tastiera, brava davvero!

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    1. Hai perfettamente ragione… Sono stata cieca per 3 ore, in uno spazio limitato e al sicuro, e questa esperienza ha sicuramente aumentato la mia sensibilità rispetto all’handicap. Mi sono posta mille domande e ci ho fatto sopra altrettante riflessioni, e qui ne ho scritte solo una piccola parte. E nonostante questo, noi che ci vediamo bene, naturalmente o artificialmente, possiamo comprendere cosa significa perdere la vista, ma non possiamo neanche lontanamente immaginare cosa significa non averla mai avuta. Grazie per l’apprezzamento, i complimenti mi imbarazzano un po’ perché non so mai come rispondere… ricevuto da te, ha un sapore particolare 🙂

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  5. Un’esperienza abbastanza forte.
    Devo dire che pur avendo due conoscenti ciechi non ho mai fatto una cena al buio. Tuttavia sono abbastanza cosciente dei loro problemi e delle loro difficoltà.
    Grazie per aver raccontato di questa cena, sei riuscita a comunicare benissimo le tue sensazioni, mi è sembrato quasi di essere seduto a quel tavolo.
    Brava.
    Ciao!

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  6. Bellissimo post, che mi piace come scrvi te l’avevo già detto e lo confermo, l’avevo letto qualche giorno fa ma non ho avuto il tempo di commentare. Concordo con chi ha scritto che ci hai guidato tutti nel buio. Io ho perso per tanto tempo 2 sensi, gusto e olfatto, certo, non è lcome perdere la vista, certo vivi agli occhi di tutti bene comunque, ma la tua vita cambia. Radicalmente. E per me è stata durissima, non posso immaginare cosa sia abituarsi a vivere senza poter vedere, soprattutto per chi era vedente. La cena mi era stata proposta una volta, ma era il periodo in cui non sentivo odori e sapori e mi è sembrato un po’ troppo. Magari ora … Brava davvero e attendo anche io la foto.

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